Federico II del Sacro Romano Impero


Duchi di Svevia
Hohenstaufen

 

Federico ritratto con il falco (dal De arte venandi cum avibus).

Federico II Hohenstaufen, o Federico I di Sicilia o di Svevia (Jesi, 26 dicembre 1194 – Fiorentino di Puglia, 13 dicembre 1250), fu re di Sicilia, re di Gerusalemme, imperatore dei Romani, re d’Italia e re di Germania.

Popolarmente conosciuto con gli appellativi stupor mundi (“meraviglia del mondo”) o puer Apuliae (“fanciullo di Puglia”), fu Sacro Romano Imperatore dal 1220 al 1250. Appartenente alla nobile famiglia sveva degli Hohenstaufen, fu inoltre re di Germania, re d’Italia, re di Borgogna, re di Gerusalemme e, col nome di Federico I, Re di Sicilia dal 1198 al 1250.

Federico II era dotato di una personalità poliedrica e affascinante che, fin dalla sua epoca, ha polarizzato l’attenzione degli storici e del popolo, producendo anche una lunga serie di miti e leggende popolari, nel bene e nel male.

Il suo regno fu principalmente caratterizzato da una forte attività legislativa e di innovazione tecnologica e culturale, volte ad unificare le terre ed i popoli, fortemente contrastata dalla Chiesa. Egli stesso apprezzabile letterato, fu convinto protettore di artisti e studiosi. La sua corte fu luogo di incontro fra le culture greca, latina, araba ed ebraica.

 

Note biografiche 

La nascita 

Federico nacque nel 1194 da Enrico VI, figlio di Federico Barbarossa, e da Costanza d’Altavilla, figlia di Ruggero II il Normanno, a Jesi, nella Marca anconitana mentre l’imperatrice stava raggiungendo il marito a Palermo, incoronato appena il giorno prima, il giorno di Natale, re di Sicilia.

Regno di Sicilia
Hohenstaufen

 
 
 
 
 
 

Data l’età avanzata, nella popolazione vi era un diffuso scetticismo circa la gravidanza di Costanza e per questo motivo, fu allestito un baldacchino al centro della piazza di Jesi, dove l’imperatrice partorì pubblicamente, al fine di fugare ogni dubbio sulla nascita dell’erede al trono.[1]

Costanza fece battezzare il figlio imponendogli il nome di Costantino. Probabilmente, quale discendente dell’imperatore romano Costantino, ella ritenne di esercitare il diritto agalmonico imperiale estendendo il proprio titolo dinastico al figlio e facendolo prevalere su quello del padre.


Nascita di Federico II –Stupor Mundi.

Non appena rimessasi dal parto, Costanza portò il neonato a Foligno (città dove Federico visse i suoi primi anni), affidandolo alla Duchessa di Urslingen, moglie di Corrado, uomo di fiducia dell’imperatore, per partire immediatamente alla volta della Sicilia e riprendere possesso del “regno di famiglia”, pocanzi riconquistato dal marito.

Enrico VI, in un primo tempo, parve accettare la scelta della moglie e con il nome di Costantino, nell’estate del 1196, il piccolo venne eletto Rex Romanorum dai principi tedeschi, durante la Dieta Imperiale di Francoforte. Qualche mese più tardi, venuto il tempo della cerimonia battesimale, svoltasi ad Assisi, il nome del futuro sovrano venne mutato dal padre che, ripristinando la priorità della casata paterna in applicazione della legge salica, decise l’assegnazione del nome “in auspicium cumulande probitatis“, di Federico Ruggero Costantino; “Federico” per indicarlo a futura guida dei principi germanici quale nipote di Federico Barbarossa, “Ruggero” per sottolineare la legittima pretesa alla corona del Regno di Sicilia quale discendente di Ruggero I e “Costantino” per accomunarsi alla Chiesa di Roma che nell’avo meso indicava la fonte della propria autorità terrena. Quella fu la seconda ed ultima occasione in cui Enrico VI vide il figlio.

Federico nasceva già pretendente di molte corone: se quella imperiale non era ereditaria, Federico era un valido candidato a re di Germania (il titolo elettivo che spettava ai canditati al titolo di imperatore, anch’esso elettivo prima dell’incoronazione papale), che comprendeva anche le corone d’Italia e di Borgogna. Questi titoli assicuravano diritti e prestigio, ma non davano un potere effettivo, mancando in questi stati una solida compagine istituzionale controllata dal sovrano. Queste corone davano potere solo se si era forti, altrimenti sarebbe stato impossibile far valere i diritti regi sui feudatari e sui comuni. Inoltre per via materna aveva ereditato la corona di Sicilia, dove invece esisteva un apparato amministrativo ben strutturato a garantire che la volontà del sovrano venisse applicata, secondo la tradizione di governo centralistico.

L’unione del regno di Germania e di Sicilia non veniva vista di buon occhio né dai normanni, né dal papa, che con i territori che a vario titolo componevano lo Stato della Chiesa possedeva una striscia che avrebbe interrotto l’unità territoriale del grande regno, facendolo sentire di conseguenza accerchiato.

Federico Imperatore 

Augustale di Federico II, 1231 circa

Il 28 settembre 1197 Enrico VI morì e Costanza affidò il figlio a Pietro di Celano conte della Marsica, fratello di Silvestro della Marsica che era stato Grande Ammiraglio di Guglielmo I il Malo re di Sicilia, e Berardo di Laureto appartenente alla famiglia degli Altavilla conti di Conversano. Il 17 maggio del 1198 Costanza fece incoronare il figlio re di Sicilia a soli quattro anni. Costanza morì il 28 settembre dello stesso anno, dopo averlo posto sotto la tutela del nuovo papa Innocenzo III, ed aver costituito a suo favore un appannaggio di 30.000 talenti d’oro per l’educazione di Federico.

Gualtieri di Pagliara, vescovo di Troia, è a Palermo il vero tutore di Federico. Federico risiedeva nella reggia di Palermo, nel Castello della Favara, nel Castello a Mare, seguendo Gentile di Manopello fratello di Gualtieri di Pagliara. Federico per la prima volta in vita sua viene sottoposto ad una vera educazione, suo primo maestro è Frate Guglielmo Francesco, ne risponde al Vescovo Rinaldo di Capua che informava costantemente il papa dei progressi scolastici, crescita e salute di Federico.- Guglielmo Francesco, Gentile di Manopello ed un Imam musulmano, rimasto sconosciuto alla storia, furono istruttori di Federico sino 1201. Guglielmo fu costretto ad abbandonare la Sicilia e tornò ad essere il maestro di Federico dal 1206 al 1209, anno dell’emancipazione di Federico. Dal 1201 al 1206 Federico venne cresciuto dal popolo palermitano più povero, autodidatta per ogni forma di cultura. Il giorno 26 dicembre 1208 Federico diventò maggiorenne assumendo il potere nelle sue mani. Nel 1209 Ottone IV di Germania fu eletto imperatore del Sacro Romano Impero ma nel 1212 una fazione ribelle sostenuta da Innocenzo III, che aveva nel frattempo scomunicato Ottone, elesse Federico “re dei Romani” (il che equivaleva alla pre-nomina ad imperatore): Sigfrido III di Eppstein incoronò Federico nel duomo di Magonza, ma la sua effettiva sovranità poté essere tale solo dal 27 luglio 1214 quando, nella battaglia di Bouvines, Filippo Augusto re di Francia, alleato di Federico, sbaragliò Ottone IV alleato degli inglesi.[2]

Il 12 luglio 1213 con la cosiddetta “Bolla d’Oro”, (o “promessa di Eger“), Federico promise di mantenere la separazione fra Impero e Regno di Sicilia (vassallo del Pontefice) e di rinunciare ai diritti germanici in Italia (promessa già di Ottone IV, mai mantenuta). Promise inoltre di intraprendere presto una crociata in Terra santa. L’11 novembre 1215 venne aperto da Innocenzo III il IV Concilio Lateranense (XII universale) cui anche Federico partecipò. Finché fu in vita il suo protettore Innocenzo III, Federico evitò di condurre una politica personale troppo pronunziata. Morto Innocenzo III e salito al soglio Onorio III (18 luglio 1216), papa di carattere meno deciso del predecessore, Federico fu incalzato dal nuovo papa a dare corso alla promessa di indire la crociata. Federico tergiversò a lungo e nel 1220 fece nominare dalla Dieta di Francoforte il figlio Enrico “re di Germania”. Onorio ritenne che l’unico modo di impegnare Federico era quello di nominarlo imperatore ed il 22 novembre 1220 Federico fu incoronato imperatore in San Pietro a Roma da Papa Onorio III.

Federico non diede segno di voler abdicare dal Regno di Sicilia, ma mantenne la ferma intenzione di tenere separate le due corone. La Germania la lasciava al figlio, ma, in quanto imperatore, ne manteneva la suprema autorità. Essendo stato allevato in Sicilia è probabile che si sentisse più italo-normanno che tedesco, ma soprattutto conosceva bene il potenziale del regno siciliano, con una fiorente agricoltura e città grandi e con buoni porti, oltre alla straordinaria posizione strategica al centro del Mediterraneo.

Confoederatio cum principibus ecclesiasticis


Il testo della Confoederatio cum principibus ecclesiasticis

Il Trattato della Chiesa con il Principe, o Confoederatio cum principibus ecclesiasticis, del 26 aprile 1220 fu emanato da Federico II come concessione ai vescovi tedeschi per avere la loro collaborazione all’elezione del figlio Enrico come Re di Germania. La Carta rappresenta una delle più importanti fonti legislative del Sacro Romano Impero nel territorio tedesco.

Con questo atto Federico II rinuncia ad un certo numero di privilegi reali in favore dei principi-vescovi. Fu un vero stravolgimento nell’equilibrio del potere, un nuovo disegno che doveva portare a maggiori vantaggi nel controllo di un territorio vasto e lontano.

Fra i tanti diritti acquisiti, i vescovi assunsero quello di battere moneta, decretare tasse e costruire fortificazioni. Inoltre questi ottennero anche la possibilità di istituire tribunali nelle loro signorie e di ricevere l’assistenza del re o dell’imperatore per far rispettare i giudizi emanati nei territori in questione. La condanna da una corte ecclesiale significava automaticamente una condanna e una punizione da parte del Tribunale Reale o Imperiale. In più, l’emanazione di una scomunica si traduceva automaticamente in una sentenza come fuorilegge da parte del tribunale del Re o dell’Imperatore. Il legame, quindi, fra il tribunale di Stato e quello locale del Principe Vescovo si saldò indissolubilmente.

L’emanazione di questa legge si ricollegava direttamente alla più tarda Statutum in favorem principum che sanciva simili diritti per i principi laici. Il potere dei signori si innalzava, ma cresceva anche la capacità di controllo sul territorio dell’impero e sulle città. In questo modo, Federico II sacrificò la centralità del potere per assicurarsi una maggiore tranquillità nella parte continentale dell’Impero stesso, in modo da poter rivolgere la sua attenzione sul fronte meridionale e mediterraneo.

L’attività nel Regno di Sicilia [modifica]

Federico poté dunque dedicarsi a consolidare le istituzioni nel Regno di Sicilia, indicendo due grandi assise a Capua e a Messina (1220-1221). In quelle occasioni rivendicò che ogni diritto regio confiscato in passato a vario titolo dai feudatari venisse immediatamente reintegrato al sovrano. Introdusse inoltre il diritto romano, nell’accezione giustinianea rielaborata dall’Università di Bologna su impulso di suo nonno il Barbarossa. A Napoli fondò l’Università nel 1224, dalla quale sarebbe uscito il ceto di funzionari in grado di servirlo, senza che i suoi fedeli dovessero recarsi fino a Bologna per studiare. Favorì anche l’antica e gloriosa scuola medica salernitana.

Il tentativo di Federico di accentrare l’amministrazione del Regno e ridurre il potere dei feudatari locali (soprattutto ordinando la distruzione delle fortificazioni che potessero rappresentare un potenziale pericolo per il potere centrale) incontrò molte resistenze, tra queste principalmente quella del conte di Bojano, Tommaso da Celano, la cui contea, unita con i possedimenti originali in Marsica, rappresentava il feudo di maggiore estensione del regno. Il conte Tommaso si rifiutò di smantellare i castelli come ordinato dallo svevo e organizzò la resistenza presso le fortificazioni di Ovindoli e Celano in Marsica, Civita di Bojano e Roccamandolfi in Molise, dove affrontò a partire dal 1220 la forza d’urto dell’esercito imperiale. Le prime tre città caddero nel giro del primo anno di guerra, mentre Roccamandolfi, dove il da Celano aveva lasciato alla guida della resistenza la moglie Giuditta, si arrese all’assedio nel 1223 dopo essere stato danneggiato ma non preso. Il castello del capoluogo della contea, Bojano, venne demanializzato e ricostruito; Ovindoli e Celano furono distrutte, Roccamandolfi dovette essere ricostruita più a valle lasciando il castello alla rovina; Tommaso da Celano, non avendo in seguito rispettato i termini della resa, fu espropriato della contea che cessò di essere la sua spina nel fianco nei possedimenti normanni di Federico.

Federico II a Melfi 


Il Castello di Melfi dove Federico II promulgò le costituzioni

Giunto da Policoro, l’imperatore approdò a Melfi, venendo accolto calorosamente dalla popolazione locale e pernottò nel castello costruito dai suoi ascendenti normanni, apportandone in seguito alcune restaurazioni. Sulla cinta muraria del feudo (precisamente sulla Porta Venosina) fece apporre una lapide che glorificava la grandezza della città, anche se anni dopo fu sostituita dal principe Giovanni Caracciolo con quella visibile al giorno d’oggi.

Nella località melfitana (ma anche a Lagopesole, Palazzo San Gervasio e Monticchio), Federico II trascorre il suo tempo libero, dedicandosi alla caccia con il falcone, poiché le zone boschive del Vulture erano particolarmente ideali per il suo passatempo preferito. Nel castello Federico II, con l’ausilio del suo fidato notaio Pier delle Vigne, emanò le Constitutiones Augustales (note anche come Costituzioni di Melfi), codice legislativo del regno di Sicilia, fondato sul diritto romano e normanno, tra le più grandi opere della storia del diritto.

Le costituzioni miravano a limitare i poteri e i privilegi delle locali famiglie nobiliari e dei prelati, facendo tornare il potere nelle mani dell’imperatore e a rendere partecipi anche le donne per quanto riguardava la successione dei feudi. Ne doveva nascere uno Stato centralizzato, burocratico e tendenzialmente livellatore, con caratteristiche che gli storici hanno reputato “moderne”.[3] Il sovrano svevo sfruttò il castello anche come tesoreria regia e come prigione, poiché vi imprigionò due cardinali e vari vescovi francesi e tedeschi che appoggiarono la decisione del Papa di destituirlo. Nel 1232 vi ospitò il marchese di Monferrato e sua nipote Bianca Lancia, che ben presto diverrà sua moglie e da cui ebbe il figlio Manfredi, che nascerà a Venosa.

La partecipazione alle crociate e la scomunica da parte di Gregorio IX 


Busto classicheggiante, Castello di Barletta


Disegno di Federico II, dalla Torre di Capua (tratto da Paul Knötel, Bildatlas der Deutschen Geschichte, Bielefeld und Leipzig, 1895)

Negli anni seguenti Federico si dedicò a riordinare il regno di Sicilia, eludendo le continue richieste del papa Onorio III di intraprendere la crociata. Per dilazionare ulteriormente il suo impegno, Federico stipulò con Onorio III il trattato di San Germano (luglio 1225), con il quale si impegnava ad organizzare la crociata entro l’estate del 1227, pena la scomunica. In realtà il vero obbiettivo di Federico era l’unione fra regno di Sicilia ed Impero nonché l’estensione del potere imperiale all’Italia. In questo disegno rientrò il suo tentativo di recuperare all’impero la marca di Ancona ed il ducato di Spoleto, rientranti nella sovranità papale. Inoltre in Sicilia procedette all’occupazione di cinque vescovadi con sede vacante, alla confisca dei beni ecclesiali e alla cacciata dei legati pontifici che si erano colà recati per la nomina dei vescovi, pretendendo di provvedere direttamente alle nomine. Il papa era molto adirato con Federico sia perché non aveva adempito ai patti di tenere separati impero e regno di Sicilia, perché non rispettava la libertà del clero nei suoi territori intromettendosi sistematicamente nell’elezione dei vescovi e perché non partiva per la crociata: durante la fallimentare crociata del 1217-1221 (la quinta) Federico si era ben guardato da aiutare i crociati, avendo più a cuore la pace con il sultano d’Egitto i cui territori erano così vicini alla Sicilia e con il quale era in rapporti di amicizia diplomatica.

Nel frattempo, per le mire di controllo sull’Italia di Federico, era risorta nel nord Italia la Lega Lombarda: nell’aprile 1226 Federico convocò la Dieta di Cremona con il pretesto di preparare la crociata ed estirpare le dilaganti eresie ma questa non poté avere luogo per l’opposizione Lega Lombarda, che impedì l’acceso ai delegati mentre Federico non aveva al nord forze sufficienti per contrastare la Lega.


Federico incontra il sultano ayyubide al-Malik al-Kamil, codice miniato

Nel 1227 il 9 settembre, pressato dal successore di Onorio, papa Gregorio IX, e sotto la minaccia di scomunica, onorò la promessa fatta al predecessore partendo per la sesta Crociata, ma una pestilenza scoppiata durante il viaggio in mare che falcidiò i suoi crociati lo costrinse a rientrare ad Otranto: lui stesso si ammalò e dovette ritirarsi a Pozzuoli per rimettersi in sesto. Gregorio IX interpretò questo come una scusa e, conformemente al trattato di San Germano, lo scomunicò a Bitonto il 29 dello stesso mese. A nulla valse una lettera di giustificazioni inviata al papa da Federico nel novembre e la scomunica fu confermata il 23 marzo 1228.

Il 28 giugno 1228 – seppur scomunicato – Federico partì da Brindisi per riprendere la Crociata interrotta l’anno precedente, nominando Rinaldo, ex Duca di Spoleto, suo sostituto in Italia durante la sua assenza. Federico ottenne il successo grazie ad un accordo con il sultano ayyubide al-Malik al-Kamil, nipote di Saladino: Gerusalemme venne ceduta ma smantellata e indifendibile. Questa soluzione aveva evitato la battaglia ed aveva sollevato Federico dall’incombenza della crociata, ma consegnava alla cristianità una vittoria effimera e in balia dei musulmani. Federico si incoronò re di Gerusalemme (in quanto erede del trono per aver sposato nel 1225, dopo la morte della prima moglie, Isabella di Brienne, allora tuttavia già defunta) nella basilica del Santo Sepolcro, il 18 marzo 1229.

Durante l’assenza di Federico, Rinaldo tentò di recuperare con le armi il ducato di Spoleto mentre truppe germaniche scesero in Sicilia. Il Papa assoldò altre truppe per contrastarle, bandendo la paradossale crociata contro Federico II, ed i territori di Federico subirono l’invasione delle medesime. Al suo ritorno Federico riuscì ad avere ragione delle forze papali ma ritenne opportuno, per quel momento, riconciliarsi con il papa e con la Pace di Ceprano del 23 luglio 1230 Federico promise di rinunciare alle violazioni che avevano determinato la scomunica, di restituire i beni sottratti ai monasteri ed alle chiese e di riconoscere il vassallaggio della Sicilia al papa. D’altro canto il papa non poteva non tener conto dell’obiettivo ottenuto da Federico in Terra santa ed il 28 agosto successivo ritirò scomunica: il 1 settembre papa ed imperatore si incontrarono ad Anagni.

Nella diatriba fra papa ed imperatore intanto si erano inserite le città della Lega Lombarda ed era ripresa la secolare divisione fra guelfi (Lega Lombarda, alleati del Papa) e ghibellini (dalla parte dell’Imperatore).[4] Nel 1231 Federico convocò una Dieta a Ravenna dalla quale fece riaffermare l’autorità imperiale sui Comuni ma ciò non ebbe alcuna influenza sugli eventi successivi.

La lotta prosegue 

Nel successivo periodo di pace e distensione Federico approfittò per sistemare alcune questioni giuridiche nei suoi regni, con particolare riguardo a quello siculo. Il rinnovato accordo fra il papa e Federico venne utile a quest’ultimo allorché nel 1234 suo figlio Enrico si ribellò al padre: rivoltosi al papa, Federico ottenne la scomunica contro il figlio, lo fece arrestare e lo tenne prigioniero fino alla morte, avvenuta nel 1242. Alla corona tedesca venne allora associato l’altro figlio Corrado II (che non riuscì neppure lui a governare in pace per l’opposizione dei nobili che gli misero davanti una serie di antiré).

Nel maggio dello stesso anno alcuni violenti tumulti, organizzati da famiglie ostili a Gregorio IX, costrinsero quest’ultimo a fuggire in Umbria. Federico, cui faceva molto comodo politicamente apparire come il difensore della Chiesa, accorse in armi, sconfisse i ribelli a Viterbo (ottobre 1237) e ristabilì Gregorio sul trono romano (1238).

Tuttavia egli non era venuto meno ai suoi propositi di sottomettere l’Italia all’impero germanico, favorendo l’instaurarsi di signorie ghibelline a lui amiche (la più potente fu quella dei Da Romano che governava su Padova, Vicenza, Verona e Treviso. Nel novembre 1237 Federico colse una notevole vittoria sulla Lega Lombarda a Cortenuova, conquistando il Carroccio che inviò in omaggio al papa. L’anno successivo il figlio Enzo sposò Adelasia, vedova di Ubaldo Visconti, giudice di Torres e Gallura e Federico lo nominò Re di Sardegna. Ciò non poteva essere accettato dal papa, visto che la Sardegna era stata promessa in successione al papa dalla stessa Adelasia. Alle rimostranze del pontefice Federico rispose nel marzo 1239 tentando di sollevargli contro la curia ed il papa lo scomunicò, indicendo anche un concilio a Roma per la Pasqua del 1241. Federico, per impedire lo svolgimento del Concilio che avrebbe confermato solennemente la sua scomunica, bloccò le vie di terra per Roma e fece catturare i cardinali stranieri giunti via mare (grazie ai fedeli pisani), dalla flotta comandata dal figlio Enzo con una battaglia navale avvenuta presso l’isola del Giglio. Le truppe imperiali giunsero alle porte di Roma, ma il 22 agosto 1241 il quasi centenario papa Gregorio IX morì[5]e Federico, dichiarando diplomaticamente che lui combatteva il papa ma non la Chiesa (egli era sempre sotto scomunica), si ritirò in Sicilia.

Fu eletto Papa Goffredo Castiglioni, che prese il nome di Celestino IV ma che morì subito dopo. La prigionia di due cardinali catturati da Federico e l’incombente minaccia delle sue truppe alle porte di Roma provocarono una vacanza al soglio pontificio di un anno e mezzo, periodo durante il quale si svolsero frenetiche trattative. Infine il conclave si tenne ad Anagni e fu eletto il genovese Sinibaldo Fieschi che prese il nome di Innocenzo IV. Il 31 marzo 1244 fu stilata in Laterano una bozza di accordo fra Federico ed Innocenzo IV che prevedeva, in cambio del ritiro della scomunica, la restituzione di tutte le terre pontificie occupate dall’imperatore, ma nulla diceva sulle pretese imperiali in Lombardia. L’accordo non fu mai ratificato.

Il declino e la fine 

Papa Innocenzo IV decise che l’assoggettamento della Lombardia all’impero non poteva essere accettato: avrebbe significato l’accerchiamento dei domini pontifici da parte dell’imperatore. Perciò decise di indire un Concilio per confermare la scomunica a Federico e far nominare un altro imperatore, rivolgendosi ai di lui nemici che in Germania erano numerosi. Giunto a Lione[6] svolse un’intensa attività diplomatica presso i nobili tedeschi ed indisse un Concilio che si aprì il 28 giugno 1245. Lione, sebbene formalmente in Borgogna, quindi di proprietà dell’imperatore, era fuori dal tiro di Federico ed era sotto protezione del re di Francia.

Il concilio confermò la scomunica a Federico, lo depose, sciogliendo sudditi e vassalli dall’obbligo di fedeltà, ed invitò i nobili elettori tedeschi a proclamare un altro imperatore, bandendo contro Federico una nuova crociata. Non tutta la Cristianità però accettò quanto deliberato nel concilio, che si era tenuto in condizioni non troppo chiare. Il papa aveva finto fino all’ultimo di voler patteggiare con Federico e molti si domandarono se fosse giusto un provvedimento così grave contro l’imperatore in un momento in cui nuove minacce si affacciavano all’orizzonte (l’offensiva mongola).

L’imperatore subì il gravissimo colpo che ne appannò il prestigio e dal 1245 gli eventi iniziarono a precipitare.

Gli Elettori tedeschi trovarono il nuovo imperatore (in realtà “re di Roma”, titolo che preludeva alla nomina di imperatore) in Enrico Raspe, margravio di Turingia, che il 5 agosto 1246 sconfisse nella battaglia di Nidda il figlio di Federico Corrado (tuttavia, l’anno successivo, il Raspe morì).

Nel 1248 Federico subì una grave sconfitta nei pressi di Parma e l’anno seguente il figlio Enzo, battuto a Fossalta fu preso prigioniero dai bolognesi che lo tennero tale fino alla sua morte (1272). Poco dopo Federico subì il tradimento (o credette di subirlo) di uno dei suoi più fidati consiglieri, Pier delle Vigne (celebre in un passo dell’ Inferno di Dante[7]).

Gli ultimi anni di Federico furono tristi: ammalato, ossessionato dal tradimento, in preda a ombre di rovesci politici e militari, visse lontano da quella figura di signore sereno e magnanimo che aveva tenuto.

La vittoria militare del figlio Corrado sul successore di Raspe, Guglielmo d’Olanda avvenuta nel 1250, non portò ad alcunché per Federico il quale nello stesso anno morì a causa di un attacco di dissenteria. Nel suo testamento nominava suo successore il figlio Corrado, ma il papa non solo non riconobbe il testamento ma scomunicò pure Corrado (che morì quattro anni dopo di malaria, nel vano tentativo di ricuperare a sé il regno di Sicilia).

La morte a Fiorentino di Puglia 

Federico cadde probabilmente vittima di un’infezione intestinale dovuta a malattie trascurate, durante un soggiorno in Puglia; secondo Guido Bonatti, invece, fu avvelenato. Le sue condizioni apparvero immediatamente gravi, tanto che si rinunciò a portarlo nel più fornito Palatium di Foggia, e la corte dovette riparare appunto a Castel Fiorentino (Fiorentino di Puglia), un borgo fortificato nell’agro dell’odierna Torremaggiore, presso San Severo.

Leggenda vuole che a Federico fosse stata predetta la morte “sub flora”, ragione per la quale pare egli abbia sempre evitato di recarsi a Firenze. Allorché l’imperatore fu informato del nome del borgo in cui, infermo, è condotto per concedergli conforto e riposo, Castel Fiorentino per l’appunto, Federico, sempre secondo la leggenda, comprese ed accettò la prossimità della fine.


Il sarcofago di Federico II nella Cattedrale di Palermo. Dietro si intravede il sarcofago di Ruggero II.

I cronisti raccontano che gli furono servite, durante la degenza, pere cotte. I medici avevano diagnosticato infatti un attacco di dissenteria. Federico non era nuovo a questi malanni ed a tali rimedi, più volte si era fatto confezionare dai suoi medici arabi marmellate curative e foglie di violetta candite (ne parla una lettera rivolta a Pier delle Vigne, il suo protonotaro).

L’imperatore, sentendosi in punto di morte, volle indossare il saio cistercense e dettare così le sue ultime volontà nelle poche ore di lucidità. La sua fine fu rapida e sorprese i contemporanei, tanto che alcuni cronisti anti-imperiali diedero adito alla voce, storicamente infondata, secondo cui l’imperatore era stato ucciso da Manfredi, il figlio illegittimo che in effetti gli successe in Sicilia. Una miniatura raffigura persino il principe mentre soffoca col cuscino il padre morente.

La salma di Federico fu sommariamente imbalsamata, esposta per qualche giorno e trasportata a Palermo, per essere tumulata nel Duomo, entro il sepolcro di porfido, pietra regale, come voleva la tradizione normanno-sveva, accanto alla madre Costanza d’Altavilla, al padre Enrico VI e al nonno Ruggero II.

Recentemente il sepolcro è stato riaperto. Federico giace sul fondo sotto altre due spoglie (Pietro II di Aragona e una donna sconosciuta). La tomba era stata già ispezionata nel tardo XVIII secolo. Ne risulta che l’imperatore sia stato inumato con il globo dorato, la spada, calzari di seta, una dalmatica ricamata con iscrizioni cufiche, e una corona a cuffia. Il corpo, nel Settecento, era mummificato e in buone condizioni di conservazione.

L’attività legislativa 

Statua di Federico II all’ingresso del Palazzo Reale di Napoli

Si dice che Federico conoscesse ben nove lingue e che fosse un governante molto moderno per i suoi tempi, visto che favorì la scienza e professò punti di vista piuttosto avanzati in economia. Abolì i dazi interni ed i freni alle importazioni all’interno del suo impero.

Federico condusse una intensa attività legislativa: a Capua nel 1220, a Messina nel 1221, a Melfi nel 1224, a Siracusa nel 1227 e a San Germano nel 1229, ma soltanto ad agosto del 1231, nel corso di una fastosa cerimonia tenutasi a Melfi, ne promulgò la raccolta organica ed armonizzata secondo le sue direttive, avvalendosi di un gruppo di giuristi quali Roffredo di Benevento, Pier delle Vigne, l’arcivescovo Giacomo di Capua ed Andrea Bonello da Barletta. Questo corpo organico, preso lungamente a modello come base per la fondazione di uno stato moderno, è passato alla storia col nome di Costituzioni di Melfi o Melfitane anche se il titolo originale Constitutiones Regni Utriusque Siciliae rende più esplicita la volontà di Federico di riorganizzare il suo stato, il Regno di Sicilia: quest’ultimo, infatti, fu ripartito in undici distretti territoriali detti giustizierati, poiché erano governati da funzionari di propria nomina, i giustizieri, che rispondevano del loro operato in campo amministrativo, penale e religioso ad un loro superiore, il maestro giustiziere, referente diretto dell’imperatore che stava al vertice di questa struttura gerarchica di tipo piramidale.

Tra il 1243 e il 1246 Federico II trascorse le stagioni invernali a Grosseto, approfittando del clima mite e delle aree umide attorno alla città per praticare la caccia, suo passatempo preferito. La permanenza nella città maremmana indusse l’imperatore a concedere il riconoscimento imperiale al libero comune di Grosseto.

L’Università

Il 5 giugno 1224, all’età di 30 anni, Federico istituì con editto formale, a Napoli, la prima universitas studiorum statale e laica della storia d’Occidente, in contrapposizione all’ateneo di Bologna, nato come aggregazione privata di studenti e docenti e poi finito sotto il controllo papale.[8]L’università, polarizzata intorno allo studium di diritto e retorica, contribuì all’affermazione di Napoli quale capitale della scienza giuridica. Napoli non era la capitale del Regno, ma Federico la scelse per la sua posizione strategica ed il suo già forte ruolo di polo culturale ed intellettuale di quei tempi.[9]

Lo Stupor Mundi 


Particolare del folio 16 recto del trattato De arte venandi cum avibus

Federico fu chiamato ai suoi tempi Stupor Mundi (Meraviglia del Mondo) e Puer Apuliae (Fanciullo della Puglia).

Il secondo appellativo deriva dal fatto che egli amava molto la Puglia, ed in particolar modo il Tavoliere, Foggia e la sua provincia. A Foggia ad esempio, aveva fatto costruire un magnifico Palatium, edificato da Bartolomeo da Foggia, su cui vi era un’iscrizione (oggi conservata nel Portale di Federico) che recitava: Hoc fieri iussit Federicus Cesar ut urbs sit Fogia regalis sede inclita imp(er)ialis. Federico aveva però sparso castelli e palazzi imperiali in tutta la regione, amata anche per le possibilità di esercitarvi l’arte venatoria, alla quale era appassionato: tra questi, il Castello di Lucera, che affidò agli alleati Saraceni,[10] e Castel del Monte nei pressi di Andria.

L’appellativo di Stupor Mundi, invece, deriva dalla sua inestinguibile curiosità intellettuale, un eclettismo che lo portò ad approfondire la filosofia, l’astrologia (consigliere molto ascoltato fu l’astrologo Guido Bonatti), la matematica (ebbe corrispondenza e fu in amicizia con il matematico pisano Leonardo Fibonacci, scopritore della famosa successione numerica che porta il suo nome che gli dedicò il suo Liber quadratorum), l’algebra, la medicina e le scienze naturali (impiantò a Palermo persino uno zoo, famoso ai suoi tempi, per il numero di animali esotici che conteneva); scrisse anche un libro, un manuale sull’arte della falconeria, il De arte venandi cum avibus (“L’arte della caccia con gli uccelli”), di cui molte copie illustrate nel XIII e XIV secolo ancora sopravvivono. Il De arte venandi è un trattato nato innanzitutto dall’osservazione, che non ha nulla delle enciclopedie zoologiche fino ad allora redatte (i bestiari intrisi di mitologia, teologia e superstizione). In esso i problemi di ornitologia, di allevamento, di addestramento e di caccia sono trattati con attenzione al principio dell’osservazione diretta e dell’esperienza, con assoluto spirito di indipendenza rispetto alla trattatistica precedente, per questo rappresenta un fondamentale passo verso la scienza “moderna”.

Gli appellativi con i quali viene ricordato Federico II sono spesso interpretati erroneamente. Ad esempio, Puer Apuliae fu un titolo mai accettato dallo Svevo, esso non indicava un amore per la Puglia come regione (Apulia deve intendersi Italia Meridionale), ma aveva un intento spregiativo. Gli fu attribuito dagli intellettuali tedeschi durante la lotta per il titolo imperiale con Ottone di Brunswick per potrebbe essere tradotto come ragazzino dell’Italia meridionale. Quando a Stupor Mundi è un titolo che non c’entra niente con le opere di Federico II, in quanto appellativo attribuitogli appena nato.

Alla sua corte soggiornarono uomini di gran cultura di quei tempi quali Michele Scoto, che tradusse alcune opere di Aristotele, Maestro Teodoro, un arabo cristiano, e Juda ben Salomon Cohen, grande enciclopedista ebreo.

Contribuì ad innovare la letteratura italiana ed in questo senso ebbe importanza fondamentale la Scuola siciliana che ingentilì il volgare siculo-pugliese con il provenzale, dando vita alla prima lingua nazionale, che, per quanto limitata all’ambito letterario, influenzò profondamente il fiorentino letterario, base della Divina Commedia; gli sono attribuite inoltre 4 canzoni. Appassionato della cultura araba, fece tradurre molte opere da quella lingua e fu quasi sempre in ottimi rapporti con gli esponenti di quella cultura al punto da guadagnarsi il soprannome (fra i tanti) di “sultano battezzato”.

Contributo alle arti figurative 

Leone all’ingresso del Castello dell’Imperatore, Prato, Toscana

Leone all’ingresso di Castel del Monte, Puglia

Federico II, essendo un generoso mecenate, ospitò alla sua corte numerosi artisti che ebbero probabilmente modo di spostarsi con lui nei suoi soggiorni in Germania (a più riprese tra il 1212 e il 1226): ci fu infatti un contatto con le novità del gotico tedesco, che proprio in quegli anni produceva opere di rinnovato naturalismo come il San Giorgio a cavallo del Duomo di Bamberga (ante 1237, alto 267 cm), dove era raffigurato uno pseudo ritratto onorario dell’Imperatore stesso riprendendo l’iconografia delle statue equestri antiche. Inoltre Federico II invitò nel sud-Italia i cistercensi già nel 1224, i quali diffusero il loro sobrio stile gotico nell’architettura (abbazia di Murgo, dal 1224, e le abbazie laziali di Fossanova e Casamari che probabilmente costituiscono i primi esempi di applicazione italiana dello stile gotico).

Oltre alla ricezione delle novità gotiche Federico promosse anche attivamente il recupero di modelli classici, sia riusando opere antiche, sia facendone fare di nuove secondo i canoni romani: per esempio le monete auree da lui fatte coniare (gli augustali) presentano il suo ritratto idealizzato di profilo, e numerosi sono i rilievi che ricordano la ritrattistica imperiale romana (al già citato Duomo di Bamberga, alla distrutta Porta di Capua, eccetera). In queste opere si nota una robustezza che ricorda l’arte romana provinciale, una fluente plasticità, come nei realistici panneggi, e gli intenti ritrattistici. Tra i rilievi superstiti della Porta di Capua esiste anche un Busto di imperatore: se si trattasse delle vere fattezze del sovrano saremmo di fronte al primo ritratto pervenutoci dell’arte post-classica, un primato altrimenti stabilito dal Ritratto di Carlo d’Angiò di Arnolfo di Cambio[11].

La seconda corrente predominante all’epoca di Federico, dopo quella classicista, fu quella naturalistica. Lo stesso Federico II nel De arte venandi cum avibus scriveva come si dovesse rappresentare le cose che esistono così come sono (ea quae sunt sicut sunt), un suggerimento che si può per esempio riscontrare nell’originalissimo capitello attribuito a Bartolomeo da Foggia e conservato al Metropolitan Museum di New York (1229 circa). In questa opera quattro testine spuntano dagli angoli, ma la loro raffigurazione è così realistica (nelle scavature degli zigomi, nelle rughe, nelle imperfezioni fisiche) da sembrare un calco da maschera mortuaria.

I frequenti movimenti di Federico, seguito dalla corte e dagli artisti, permisero la diffusione di uno stile sovraregionale, con opere di sorprendente similarità stilistica anche in aree molto distanti, come testimoniano, per esempio, gli ingressi di alcuni castelli fredericiani: i leoni scolpiti nel settentrionale castello dell’Imperatore di Prato sono identici a quelli di Castel del Monte in Puglia. Fu probabilmente con Federico II che arrivò in Toscana Nicola Pisano, citato nei documenti più antichi come Nicola de Apulia, alla cui corte avrebbe potuto trovare la sintesi tra gli stimoli classici e transalpini che caratterizzarono la sua rivoluzione figurativa.

Le mogli di Federico 

Federico ebbe diverse mogli e molteplici relazioni. La prima moglie fu Costanza d’Aragona e come ogni grande regnante l’unione fu frutto di un preciso progetto diplomatico del tutore imperiale papa Innocenzo III. Costanza, infatti, era già alle seconde nozze ed era di circa dieci anni più anziana. Spentasi Costanza, Federico, probabilmente adottando la medesima politica e mantenendo l’avallo papale, si unì in matrimonio prima con Jolanda (o Isabella) di Brienne e poi, morta questa, con Isabella d’Inghilterra. Ma fu Bianca Lancia probabilmente il vero amore dell’imperatore. Di Bianca, appartenente alla famiglia dei Lancia (o Lanza), molto in vista nella corte di Federico, non sono rimaste notizie storiche e la stessa sincerità del sentimento dell’imperatore fu messa spesse volte in discussione da alcuni critici. Comunque è certo che da questa unione, forse tramutata in matrimonio negli ultimi anni di vita, nacque a Venosa Manfredi di Sicilia, il figlio prediletto di Federico.

Antenati e discendenti 

Federico I, Imperatore del Sacro Romano Impero Beatrice di Borgogna Ruggero II, re di Sicilia, di Calabria e di Puglia Beatrice di Rethel
Enrico VI, Imperatore del Sacro Romano Impero Costanza d’Altavilla
Federico II, Imperatore del Sacro Romano Impero
Matrimoni o unioni Figli
Costanza d’Aragona (1184c. – 1222), o=o Messina, 15 agosto 1209
  1. Enrico VII (1211 – 1242)
Adelaide di Urslingen
  1. Enzo di Sardegna (c1220 – 1272)
  2. Caterina da Marano (1226 – 1279)
Maria di Antiochia
  1. Federico di Antiochia (c1224 – 1256)
Nome sconosciuto
  1. Biancofiore di Svevia (1226 – 1279)
Richina di Wolfs’oden
  1. Margherita di Svevia (1227 – 1298)
Isabella di Brienne (1212 – 1228), o=o Brindisi, 9 novembre 1225
  1. Margherita, morta appena nata (+ 1227)
  2. Corrado IV di Germania (1228 – 1254)
Bianca Lancia (1213 – 1246), o Lanza
  1. Costanza (Anna) di Sicilia (1230 – 1307)
  2. Manfredi di Sicilia (1232 – 1266)
  3. Violante di Svevia (1233 – 1264)
Isabella d’Inghilterra (1214 – 1241), o=o Palermo, luglio 1235
  1. Margherita di Sicilia (1237 – 1270)
  2. Enrico Carlotto di Sicilia (1238 – 1253)
  3. Federico di Sicilia (1239 – ?)
  4. figlia (1241 – 1241)
Nome sconosciuto
  1. Selvaggia di Staufen (+ 1244)
Nome sconosciuto
  1. Riccardo di Chieti (+ 1249)
Nome sconosciuto
  1. Gherardo
Nome sconosciuto
  1. Federico di Pettorana

Fra mito e leggenda 

  « Qui con più di mille giaccio:
qua dentro è ‘l secondo Federico »
 
(parole di Farinata degli Uberti a proposito del girone degli eretici o degli epicurei, Dante Alighieri, Inf. X 118-119)

La intensa attività politica e militare, l’innovazione portata nella sua legislazione del Regno di Sicilia, l’interesse per scienze e letteratura fecero di Federico un personaggio mitico, talvolta attirando una serie di leggende che in parte resistettero alla sua scomparsa. L’amicizia praticata nei confronti degli arabi (ebbe a lungo una Guardia personale costituita da guerrieri arabi, e lui stesso parlava correntemente tale lingua) unitamente alla lotta contro il papa Gregorio IX, che arrivò perfino a definirlo anticipatore dell’Anticristo, fecero crescere attorno a lui un alone di mistero e di leggende.

I ghibellini vedevano in lui il Reparator Orbis, il sovrano illuminato che avrebbe punito i preti indegni e restaurato la purezza della Chiesa.

La propaganda guelfa invece lo definì come un ateo, un eretico epicureo che avrebbe sostenuto come le religioni fossero tutte delle imposture (Dante stesso lo citò nel girone degli eretici vicino a Farinata degli Uberti), o addirittura come un convertito all’Islam.

Fu forse il suo essere stato definito l’Anticristo (o il suo anticipatore, secondo la tradizione profetica derivata da Gioacchino da Fiore) a dare origine, dopo la sua morte, alla leggenda di una profezia secondo la quale egli sarebbe ritornato dopo mille anni. Federico fu definito l’Anticristo anche in virtù di una leggenda medievale che sosteneva che questo sarebbe nato dall’unione fra una vecchia monaca ed un frate: infatti il padre Enrico VI era un uomo molto religioso ed in gioventù aveva pensato di intraprendere la vita monastica mentre Costanza d’Altavilla aveva 40 anni quando partorì Federico e, prima del matrimonio, contratto all’età di 32 anni, era vissuta in un convento.

Naturalmente la sua morte non poteva non dar origine a leggende. Si narra che una volta fu fatta all’Imperatore Federico II una profezia riguardante la sua morte: egli sarebbe deceduto in un paese contenente la parola “fiore”. Per questo Federico II evitò di frequentare Florentia (Firenze), ma non sapeva che nell’agro dell’odierna Torremaggiore, nelle vicinanze di San Severo, si ergeva un borgo di origine bizantina, chiamato appunto Castel Fiorentino; le sue rovine, affioranti da una collina detta dello Sterparone (m. 205), ancora testimoniano la presenza di alcuni locali, di una torre di avvistamento e della Domus (palazzo nobiliare) all’interno della quale morì Federico il 13 dicembre 1250. Si noti che la tale collina ricorda molto, per orientamento e “stile”, quella di Lucera (in cui aveva un vero e proprio castello, la zecca, e dove mise i saraceni che facevano parte della sua guardia privata). In quel luogo ebbe fine la sua vita, in qualche modo realizzando la profezia iniziale che sempre lo accompagnò. Inutile aggiungere che l’Imperatore non sapeva che quel borgo si chiamasse Castel Fiorentino.

La stessa leggenda racconta pure che, secondo la profezia, egli non solo sarebbe morto appunto sub flore, ma anche nei pressi di una porta di ferro. Secondo la tradizione Federico, riavutosi leggermente dal torpore, chiese alle guardie che lo vegliavano dove si trovasse e dove portasse una porta chiusa che stava vedendo dal proprio letto. Quando la guardia gli rispose che si trovava a Castel Fiorentino e che quella porta, murata dall’altra parte, non era che un vecchio portone di ferro, l’imperatore sospirò: «Ecco che è giunta dunque la mia ora», ed entrò in agonia.

Hanno detto di lui 

  • Fra Salimbene de Adam, nella sua Chronica, una delle fonti storiche più interessanti per il secolo XIII, parla anche delle opere da lui scritte, andate tutte perdute.

Tra queste, si segnalano i XII scelera Friderici imperatoris, opera che doveva avere carattere polemico, essendo servita anche come opuscolo di propaganda anti-imperiale, dopo la sconfitta di Vittoria nel 1248. Nella Chronica Federico II è dipinto come uomo avaro, che combatté la Chiesa solo perché voleva impadronirsi dei beni ecclesiastici. E la stessa Chronica è ricca di aneddoti – per lo più negativi – riguardanti episodi della vita di questo imperatore.

  • Dante Alighieri (autore tutt’altro che insensibile alle leggende) nella sua Commedia menziona Federico II ben cinque volte: tre nell’Inferno, una nel Purgatorio ed una nel Paradiso:

Inferno

  « Qui con più di mille giaccio:
qua dentro è ‘l secondo Federico,
e ‘l cardinale …. »
 
(Divina Commedia, Inf. X (eretici ed epicurei) 119-120, Farinata degli Uberti)
  « Io son colui che tenni ambo le chiavi
del cor di Federigo, e che le volsi,
serrando e dissertando, sì soavi
……
e l’infiammati infiammar sì Augusto,
che’ lieti onor tornaro in tristi lutti. »
 
(Divina Commedia, Inf. XIII 58-60, 68-69, Pier della Vigne)
  « ma dentro tutte piombo e gravi tanto,
che Federico le mettea di paglia. »
 
(Divina Commedia, Inf. XXIII 65-66)

(Qui Dante riprende una leggenda secondo la quale Federico II sottoponeva a tortura i rei di lesa maestà, coprendoli di piombo e facendoglielo fondere addosso.)

Purgatorio

  « In sul paese ch’Adige e Po riga,
solea valore e cortesia trovarsi
prima che Federigo avesse briga: »
 
( Divina Commedia, Purg. XVI 115-117, Marco Lombardo)

Paradiso

  « Quest’è la luce della gran Costanza
che del secondo vento di Soave
generò il terzo e l’ultima possanza. »
 
( Divina Commedia, Par. III 118-120, Piccarda Donati)

(Qui Dante si riferisce al fatto che Federico fu il terzo ed ultimo imperatore svevo (soave).)

Note 

  1. ^
      « Quando la ‘mperatrice Costanza era grossa di Federigo, s’avea sospetto in Cicilia e per tutto il reame di Puglia, che per la sua grande etade potesse esser grossa; per la qual cosa quando venne a partorire fece tendere un padiglione in su la piazza e mandò bando che qual donna volesse v’andasse a vederla; e molte ve n’andarono e vidono, e però cessò il sospetto. »
     
    (Giovanni Villani)
  2. ^ Da questa battaglia gli storici datano l’unità nazionale francese.
  3. ^ Franco Cardini e Marina Montesano, Storia medievale, Firenze, Le Monnier Università, 2006. ISBN 8800204740 pag. 287
  4. ^ Fra le famiglie più fedeli alla scelta ghibellina vanno ricordati gli Ordelaffi, signori di Forlì, città che Federico ricompensò per gli aiuti che ne ebbe con la concessione di notevoli privilegi e con la concessione a riportare l’aquila imperiale nello stemma.
  5. ^
      « Colui che rifiutò la pace e le trattative e solo intese alla discordia, non doveva oltrepassare i confini dell’agosto (augustus) vendicatore: egli che operò a offesa dell’Augusto.  »
     
    (Elogio funebre di papa Gregorio pronunciato da Federico II)
  6. ^ Per eludere la sorveglianza delle truppe imperiali che stazionavano pericolosamente vicino a Viterbo, Innocenzo si recò travestito a Civitavecchia ove si imbarcò su galere genovesi, transitò da Genova, sua patria originaria, e quindi giunse a Lione, città sotto il controllo del re di Francia
  7. ^ Inferno – Canto tredicesimo
  8. ^ Fu tuttavia Federico che inviò all’Università di Bologna e ad altre Università le opere del filosofo arabo Averroè, che lui stesso aveva fatto tradurre.
  9. ^ L’università fredericiana, che non ha mai interrotto la sua attività, è stata intitolata al suo fondatore nel 1987, assumendo la denominazione di Università degli studi di Napoli “Federico II”, allorché iniziarono i lavori per l’istituzione della Seconda università degli studi di Napoli, dallo scorporo della prima facoltà di Medicina e chirurgia della prima, decretata nel 1989 e attuata nel 1991.
  10. ^ Cosa che non piacque per nulla al papa Gregorio IX
  11. ^ Pierluigi De Vecchi ed Elda Cerchiari, I tempi dell’arte, volume 1, Bompiani, Milano 1999.
Federico II del Sacro Romano Imperoultima modifica: 2008-12-12T22:50:45+01:00da giusy1967
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