I Greci nel Regno di Sicilia

Horst Enzensberger


Aspetti della loro vita religiosa, sociale, economica alla luce del

diritto canonico latino e di altre fonti latine.

© Proprietà intellettuale dell’autore. Pubblicato il 31.05.2000. Aggiornato il 1.06.2000.

“L’uso del testo per saggi, articoli, tesi di laurea è vincolato dalla citazione completa: H.

ENZENSBERGER, I greci nel Regno di Sicilia. Aspetti della loro vita religiosa…

<http://www.medioevoitaliano.org/enzensberger.greci.pdf> (Rassegna Storica online, 1,

2000)”

I GRECI NEL REGNO DI SICILIA di HORST ENZENSBERGER*

Due grossi latifondisti della Sicilia Orientale evadono le tasse,

vengono rinviati a giudizio e, dopo un’accurata verifica delle eccezioni a

loro favore, dovrebbero essere, finalmente, costretti a pagare il dovuto. Il

caso suscita interesse a livello internazionale. E non sappiamo ancora

com’è finita …

Uno scenario non privo di un tocco di attualità, ma non è il riassunto di

notizie pubblicate sul Giornale di Sicilia: il caso in questione avvenne alla

fine del dodicesimo secolo.

Gli antagonisti erano un parroco “assenteista” – preferiva il soggiorno

di studio a Parigi ai suoi obblighi giornalieri – e due esponenti del ceto

dirigente greco del regno di Sicilia, che si rifiutarono di pagare le decime

con la motivazione che in quanto greci non erano tenuti a pagare decime

al sacerdote latino. L’istanza superiore chiamata in causa era papa

Celestino III e gli osservatori alla cui attenzione dobbiamo la conoscenza

del fatto erano l’uno spagnolo e l’altro lucchese. Il canonista spagnolo è

poi quello più preciso nel tramandare i nomi e l’indirizzo della decretale .

Il fatto che Nicola, così si chiama l’avventuroso studente all’estero (in

tempi precedenti a programmi come ERASMUS o SOCRATES),

sprecasse tanto tempo, energie e soldi per portare la sua vertenza

giudiziaria contro i parrocchiani morosi persino davanti al papa significa

anzitutto che i loro contributi negati erano una fetta consistente delle sue

entrate, e quindi indispensabili per mantenere il suo tenore di vita .

Prima di analizzare più da vicino questa storia, cercherò di definire più

concretamente la natura di queste fonti canonistiche e di dare uno sguardo

allo sviluppo storico dell’ordinamento ecclesiastico in Sicilia e nel futuro

regno.

Per le fonti latine in generale vale che esse fanno emergere la diversità

dei Greci la quale è più tangibile a livello linguistico e religioso entrambi

intrecciati tra di loro. Le fonti canonistiche in particolare mettono in

evidenza le divergenze col sistema normativo “latino”, ma anche

*. Testo della conferenza tenuta all’Istituto Siciliano di Studi Bizantini e Neoellenici

“Bruno Lavagnini” di Palermo il 18 febbraio 1998.

l’inserimento dei Greci in esso. Lo scontro o il presunto scontro con la

norma e la necessaria soluzione del caso è alla base della decisione

decretalistica.

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I. Il diritto canonico latino

Nonostante la sua importanza questa categoria di fonte ha trovato poca

attenzione tra gli storici “comuni”. Già Paul Fridolin KEHR ne aveva

individuato la ragione: sono testi che non offrono letture amene come la

cronachistica medievale ogni tanto è in grado di fare. Inoltre c’è da

osservare che spesso le indicazioni concrete che possono interessare lo

storico, come i nomi delle persone e dei luoghi oppure le date

cronologiche, sono ridotte in maniera quasi irriconoscibile. In analogia

alla redazione di formulari per le cancellerie gli elementi concreti erano

considerati di minore rilevanza – in caso di applicazione si dovrebbero

comunque sostituire con i dati relativi – e di conseguenza venivano meno

curati soprattutto nel caso che nomi e toponimi fossero meno familiari al

redattore.

Proprio nel corso del secolo XII sta nascendo il primo nucleo del

Corpus Iuris Canonici, in vigore nella Chiesa Romana fino alla

pubblicazione del Codex Iuris Canonici nel 1918, aggiornato pochi anni

fa. La spinta all’elaborazione sistematica veniva dalla contemporanea

riscoperta della codificazione giustinianea ed è strettamente legata alla

prima fioritura delle scuole di diritto nell’Italia settentrionale.

Il materiale a disposizione erano atti e decreti conciliari (i canones

appunto), deliberazioni sinodali ed una serie di collezioni ed elaborazioni

più o meno organiche, ma spesso limitate nella loro finalità come ad

esempio il Decreto di Burcardo di Worms o destinate ad un’applicazione

di tipo pastorale come i libri penitenziali. Inoltre c’erano a disposizione le

lettere dei pontefici romani che nella tradizione del magistrato tardoantico

avevano tenuto e continuavano a tenere atti e registri.

Benché la serie dei registri originali conservati all’Archivio Segreto

Vaticano cominci col primo anno di pontificato di Innocenzo III –

precedono un registro che risale a Giovanni VIII e il più famoso registro

di Gregorio VII (quello con il dictatus pape per intenderci – e questo

famoso testo non è altro che l’indice programmatico di una collezione di

fonti canonistiche come hanno dimostrato le ricerche più recenti di

Hubert MORDEK) – , possiamo risalire fino ai tempi di Gregorio Magno il

cui registro fu considerato testo letterario e quindi trasmesso per altre vie

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che non quelle archivistiche . Testo, questo, tra l’altro particolarmente

fertile per la storia della Sicilia come dimostra il fatto che nel decimo

volume dell’Italia Pontifica su 835 documenti registrati ben 340

provengono dal registro di Gregorio I. Numerosi altri sono trasmessi in

altre collezioni canonistiche (66 delle 224 decretali pubblicate

dall’HOLTZMANN riguardano il Regno normanno).

Alla dispersione, disparità e contraddittorietà delle decisioni normative

pronunciate in periodi diversi cercò di mettere rimedio il magister

Graziano nella sua Concordantia discordantium canonum, cioè nel

Decretum Gratiani il quale costituirà la prima parte del Corpus iuris

canonici. L’opera ebbe un tale successo nell’avviamento agli studi di

diritto canonico che Alessandro III decise di farla applicare dalla

cancelleria apostolica per la definizione delle lettere in materia

giurisdizionale. Con lui cresce notevolmente il numero delle sentenze e

dei mandati giurisdizionali, cioè delle decretali, emanate nell’esercizio

della plenitudo potestatis, concetto teorizzato, più di un secolo dopo, in

maniera estremamente accentuata da Bonifacio VIII.

La decretale è dunque un documento pontificio, appartenente alla

categoria delle lettere di giustizia, però trasmesso non in forma di

originale o di copia nell’archivio del destinatario, ma tramite una delle

numerose collezioni canonistiche redatte nel periodo tra il pontificato di

Alessandro III e quello di Gregorio IX .

Con la sua decretale il papa poteva rispondere al quesito sottopostogli

da un vescovo o da un altro prelato di alto rango e così dare

un’esplicazione delle norme vigenti, o decidere direttamente un caso

particolare dando un esempio di applicazione; poteva anche, in

mancanza di informazioni più precise necessarie per una decisione,

delegare il caso alle autorità ecclesiastiche territorialmente competenti

indicando però gli argomenti da considerare in una sentenza definitiva.

Con questo tipo di legiferazione da corte suprema i pontefici romani

contribuirono a sviluppare ed aggiornare la normativa canonistica.

Gli studiosi di diritto canonico di allora si affrettarono a raccogliere –

utilizzando a questo scopo i registri oggi perduti di papi come Alessandro

III, Clemente III e Celestino III – quei testi che a loro sembravano

significativi, sia dal punto di vista dell’attualità, sia dal punto di vista del

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metodo di allegazione e deduzione o dal punto di vista dell’interesse del

redattore per la propria regione che assai spesso influiva sulla scelta degli

esempi. Il fatto che non esistano collezioni originarie del regno di Sicilia,

ma che ci siano tramandati tanti casi collocati in ambiente meridionale

significa che la casistica proposta dai prelati “normanni” suscitava

interesse generale. D’altro canto, c’è anche qualche canonista rinomato

che dispone di conoscenze personali della realtà meridionale: accanto al

cardinale Laborante, che prima di passare alla carriera curiale era

canonico a Capua dove conobbe l’arcivescovo Ugone che dal 1147 al

1163 resse la cattedra di Palermo, sono da ricordare il magister

Lombardus da Piacenza, arcivescovo di Benevento dal 1171 al 1179, ed il

magister Rufinus, rettore di una chiesa concessagli dall’abate di

Montecassino. Benché utilizzasse materiale raccolto durante il suo

soggiorno a Capua, Laborante non si interessò in modo particolare della

situazione dei Greci. Per quanto riguarda i Greci, l’Italia meridionale e la

Sicilia erano le uniche zone di convivenza tra Latini e Greci sotto la

supremazia del pontefice romano da dove anche il semplice cristiano

poteva raggiungere in modo relativamente facile la sede della curia

romana e quindi ricorrere al giudizio della somma autorità ecclesiastica.

Oltre alle collezioni “private” delle decretali furono redatte le Quinque

compilationes antiquae: due assunsero carattere ufficiale: la terza del

1210, redatta per ordine di Innocenzo III, famoso giurista lui stesso, ed

inviata allo studio di Bologna con ingiunzione di osservarla

nell’insegnamento, e la quinta, commissionata da Onorio III ed

ugualmente pubblicizzata nel 1226.

Il secolo delle grandi codificazioni – ricordo il Liber Augustalis di

Federico II del 1231 – vide anche la codificazione sistematica delle

decretali, operata dal domenicano Raimondo di Peñafort e convalidata da

Gregorio IX nel 1235: Quinque libri decretalium oppure Liber Extra, cioè

in aggiunta al Decretum Gratian. La seconda parte del Corpus iuris

canonici si arricchì ancora: il Liber Sextus, cioè le decretali di Bonifacio

VIII, le Clementinae di Clemente V. Nella tradizione manoscritta (e nelle

edizioni) si aggiunsero poi le Extravagantes di Giovanni XXII e le

Extravagantes communes con decretali di vari papi da Bonifacio VIII a

Sisto IV.

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Conviene ricordare che il metodo medievale di raccogliere tutto il

materiale disponibile per consentire una susseguente cernita ragionata

ebbe un seguito nella preparazione del nuovo Codice di diritto canonico.

La Pontificia Commissio ad redigendum codicem iuris canonici

orientalis, infatti, ha creato con la sua raccolta di fonti, in particolare con

la terza serie che contiene gli atti pontifici, un preziosissimo strumento di

lavoro proprio per lo studio dei greci del Meridione. Lavoro purtroppo

poco sfruttato a ragion della sua scarsa diffusione. Ed aggiungiamo anche

il Regesto Vaticano per la Calabria del padre RUSSO che consente un

rapido accesso alle fonti che riguardano la situazione calabrese, quindi

anche quella dei greci in quell’area.

Le fonti dell’ambito curiale che ci offrono delle notizie relative ai

Greci sono inoltre i registri papali da Innocenzo III in poi, non più

sistematicamente confluiti nelle collezioni canonistiche, l’indirizzario

della curia romana (Provinciale) e l’abate (sic!) di Grottaferrata è persino

presente nel Formularium audientie litterarum contradictarum, manuale

di cancelleria per applicazione della giurisdizione delegata del pontefice

romano, ma la protezione papale contro malfattori che inquietano il

monastero nel tranquillo possesso dei suoi beni non rappresenta una

problematica specifica del monachesimo greco. L’indirizzo suona:

Dilectis filiis … abbati et conventui monasterii Cripte ferrate de Urbe,

ordinis sancti Basilii, ed è da questo tipo di definizione curiale richiesta

dal IV Concilio Lateranense che nasce il concetto di ordine basiliano.

Interessano poi in modo particolare le scritture raccolte dalla Camera

pontificia: libri di conto, resoconti delle collette (le decime straordinarie a

disposizioni del papa), spoliazioni e tutto il materiale relativo alla

provvisione di prebende ecclesiastiche magistralmente adoperata dai papi

avignonesi, e alla riscossione di tributi relativi alle nomine. Che non si

potesse parlare apertamente di simonia, si evitava soltanto con un piccolo,

ma efficace accorgimento: tutte le obbligazioni a pagare il servitium

erano, sulla carta, spontanee e non coatte. Curiosamente le date di questi

giuramenti sono però sempre precedenti alla consegna delle lettere di

nomina. Se questo procedimento è la conseguenza del processo intentato

da Giovanni XXII, immediatamente dopo la sua intronizzazione, al suo

predecessore Clemente V nel cui lascito si erano trovate centinaia di

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lettere di nomina non consegnate al beneficiario a causa del mancato

pagamento, non ho potuto verificare. Il procedimento ben presto fu

insabbiato ed archiviato. Tutte le somiglianze con casi attuali e con

l’atteggiamento di personaggi viventi sono puramente casuali e da me non

volute!

Il pagamento di questi servitia, della tassa effettivamente dovuta per la

nomina a vescovo o abate da parte del papa, il quale, per motivi di

bilancio ed in virtù della plenitudo potestatis, aveva scavalcato i diritti

elettivi di capitoli e conventi, veniva registrato dettagliatamente.

Potremmo quindi ricostruire i canali finanziari utilizzati per i pagamenti

dal clero greco, che alla pari dei gerarchi latini era stato sottoposto a

questo trattamento, e scoprire che non si distinguono da quelli utilizzati

dal clero latino conterraneo. Si deve costatare che il Meridione, e

particolarmente Calabria e Sicilia, è escluso dal circuito monetario di

scambio delle grandi banche (toscane) dell’epoca. Il pagamento concreto

è indicatore dell’andamento economico generale e dell’economia

aziendale in un determinato momento: quando esso non viene effettuato

in unica soluzione o comunque ritardato, siamo di fronte ad un indizio di

crisi economica: se locale o regionale si può stabilire analizzando

pagamenti di altri prelati della stessa zona. L’importo della tassa, fissato

nel tariffario del camerario, è invece la valutazione delle potenzialità

politico-economiche della singola azienda ecclesiastica che non viene

aggiornata regolarmente. Come tassa viene calcolato un terzo delle

entrate annuali stimate nell’agenda del camerlengo. Rinuncio a presentare

estratti di questi atti finanziari, sia perché ci vorrebbe una mentalità da

ragioniere per gustarle adeguatamente, sia perché anche le edizioni

disponibili sono già ridotte all’essenziale contabile, benché qualche

notiziola divertente si trovi persino in quel contesto: due procuratori

esperti riescono a perdere la quietanza e devono umilmente richiedere una

seconda copia. Le prebende greche, comunque, non reggono il confronto

con l’Europa nord occidentale. I più quotati erano il S. Salvatore di

Messina con un reddito di 500 fl.1 e Grottaferrata con 400 fl.2 – Cluny, ad

esempio, era valutato con 8000 fiorini –, ma spesso il preventivo non

1. 1313 – 1421.

2. 1303 – 1434.

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superava il minimo di 100 fiorini annui, e tra gli ecclesiastici esonerati

dal pagamento propter paupertatem troviamo prevalentemente greci .Lo

squilibrio economico tra Italia settentrionale e Meridione si manifesta già

allora. [v. grafico e tabella in Appendice]

Per la storia dei Greci nel Regno dobbiamo ancora ricordare il sinodo

di Melfi nel 1284 sotto la direzione del cardinale legato Gerardo Bianchi

di Parma. Il tema più scottante non era però l’eventuale contrasto tra rito

greco e rito latino o l’applicazione delle disposizioni del II Concilio di

Lione (1274), ma l’imposizione di una tassa speciale destinata a

finanziare la spedizione angioina contro Pietro III d’Aragona – siamo già

alla Guerra del Vespro. I capitoli degli statuti relativi ai Greci

analizzeremo più avanti.

Qualche notizia possiamo ricavare anche da altre fonti: dai manuali

dell’ars dictaminis o dalla documentazione latina in generale, ma

considerata in un’ottica diversa da quella consueta tutta rivolta alla parte

dispositiva . Particolarmente interessanti possono essere gli adattamenti di

testi agiografici greci alle esigenze di un pubblico latino. Lascerò da parte

tutta la letteratura di carattere teologico dotto ed in particolare quella sulle

controversie dogmatiche, certamente di grande interesse per altri campi di

ricerca, ma poco utili alla ricostruzione dell’ambiente greco nell’Italia

meridionale. Semmai sono gli autori di tali testi come Barlaam di

Seminara, vescovo di Gerace dal 1342 fino alla morte, avvenuta

probabilmente nel 1348, a meritare il nostro interesse. Gli successe nella

carica di vescovo a Gerace addirittura un monaco, proveniente dal

monastero di Studion: Simone Athomanos che ricevette ad Avignone gli

ordini minori, l’ordinazione sacerdotale e quella episcopale e il 23 giugno

1348 venne nominato eletto di Gerace. L’esenzione ad vitam dall’autorità

del metropolita latino di Reggio fu concessa soltanto qualche mese dopo,

benché già ai tempi di Barlaam il vescovado fosse stato esente ed

immediatamente soggetto alla Santa Sede. Ci sarà stata qualche

rimostranza da parte dell’arcivescovo a creare l’intoppo poi felicemente

risolto.

Se Barlaam è emblematico per l’abilità di uomini intrisi delle due

culture, greca e latina, a muoversi con una certa disinvoltura in due mondi

rimanendo fedeli a se stessi e alle proprie convinzioni, Simone dimostra

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la flessibilità della curia romana e della sua disponibilità a prescindere,

nel momento politicamente opportuno, dall’applicazione rigida e

schematica di norme pur mantenendole in vigore il linea di principio. Un

secolo dopo sarà un altro greco arruolato dalla chiesa romana, Bessarione,

a porre le fondamenta per il risanamento culturale ed economico del

monachesimo greco.

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II. L’organizzazione ecclesiastica nel Regno

Uno dei motivi principali per l’accordo con i Normanni di Roberto il

Guiscardo era per il papa la prospettiva di poter riportare una buona parte

dell’Italia meridionale e soprattutto la Sicilia sotto il dominio spirituale

della Santa Sede, concedendo il dominio temporale a questi guerrieri

immigrati. Questo proposito della politica curiale aveva già trovato

un’espressione programmatica nelle nomina di Umberto di Silva Candida

ad archiepiscopus Siciliensis, ma soltanto la conquista militare dell’isola

poteva assicurare la sua realizzazione .

La ristrutturazione parziale di una gerarchia latina in Puglia risale già

ai tempi del catepano Boioannes, quindi ancora sotto il dominio

bizantino; toccava adesso, dopo le vicende del 1054, alla Calabria e, con

l’assistenza divina, alla Sicilia di essere reintegrati nella chiesa Romana

con l’aiuto dei conquistatori. Era venuto, finalmente, il momento giusto

per il tentativo di annullare l’ordinanza del basileus Leone III che nel

732/733 aveva sottratto l’Italia meridionale e l’Illirico alla giurisdizione

del patriarca dell’Occidente sottoponendo quest’area al patriarca di

Costantinopoli. La pretesa del primato “latino” era una questione di

natura giuridica, non riguardava, in linea di principio, la lingua, il rito, il

clero e neanche la fede della popolazione greca. Quasi l’unico parametro,

in ogni caso quello decisivo, era la disponibilità dei soggetti greci

all’obbedienza nei confronti della chiesa romana e del papa. Segno di

questa sottomissione poteva essere la partecipazione ai sinodi e concili

indetti dalla chiesa Romana. Troviamo infatti al sinodo lateranense del

1112 l’arcivescovo di Santa Severina, al III concilio Lateranense del 1179

i vescovi greci di Crotone, Gerace, Nicotera, Umbriatico e Strongoli,

mentre manca, purtroppo, l’elenco dei partecipanti per il IV Lateranense

del 1215, importantissimo per il clero greco. Il II Lugdunense del 1274

vide la partecipazione di due arcivescovi greci: Angelo di Rossano e

Ruggero Stefanizzi di Santa Severina, discendente da una famiglia greca

ma anche rappresentante di una cultura mista greco-latina3. Che poi

l’applicazione pratica della sottomissione al papa abbia portato anche alla

3. Il suo sigillo reca un iscrizione in latino, mentre quello di Angelo porta una scritta

greca.

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successiva sostituzione dei Greci nelle cariche direttive della gerarchia, e,

in un processo plurisecolare, alla quasi totale sparizione del rito greco

“indigeno”, è dovuto più all’acculturazione che ad un preciso concetto

politico. Nel Cinquecento i Greci in Italia meridionale erano così

numerosi, che ancora nel 1573 sembrò opportuno insediare una

congregazione cardinalizia pro reformatione Graecorum in Italia

existentium et monachorum Ordinis Sancti Basilii sotto la direzione del

cardinale Giulio Antonio Santoro, già abate commendatario di S. Elia di

Carbone.

Calabria e Sicilia presentavano situazioni divergenti: in Calabria

esisteva un’organizzazione ecclesiastica greca consolidata, in Sicilia

invece, al momento dell’arrivo dei Normanni, reggevano il clero

parrocchiale e il monachesimo, benché in condizioni economiche

modeste, ma era allo sfascio la gerarchia. A Palermo fu riportato in

cattedrale l’arcivescovo greco Nicodemus, subito riconosciuto da papa

Alessandro II, nella Sicilia orientale abbiamo, per il 1103, la notizia di un

+ IakwboV  episkopoV  non meglio collocabile, ma comunque in buoni

rapporti col vescovo latino di Catania e con Ruggero I. Il conte, infatti,

non mirando alla deposizione di vescovi greci, aggirava il problema in

Calabria con l’erezione della diocesi a Mileto, nominando vescovo un suo

uomo di fiducia, Arnolfo, ed ottenendo la scissione del legame

coll’arcivescovo di Reggio e la sottomissione diretta del vescovado al

papa. In Sicilia era la residenza del conte a Troina ad essere scelta come

sede di un vescovado latino senza aggancio ad una tradizione precedente

– il trasferimento a Messina avvenne in un secondo momento e con

modalità non del tutto chiare data la falsità della documentazione relativa

– avviando in questa maniera la strutturazione di una gerarchia latina

sull’isola , servendosi di personaggi come il suddetto Giacomo o, un poco

più tardi, del vescovo Luca di Isola per le necessità rituali della

popolazione greca.

La «latinizzazione» non fu ad effetto immediato; per un periodo

piuttosto lungo siamo di fronte ad una convivenza relativamente pacifica

di greci e latini nella stessa “parrochia” – parola utilizzata dalle fonti per

la definizione territoriale di una diocesi – benché le differenze di rito e

consuetudini, inevitabilmente, dovessero creare dissidi e disagi. La

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funzione giuridica del vescovo, il controllo su i monasteri della sua

diocesi relativo alla regolarità e moralità della vita monastica, non sembra

aver creato, in linea di principio, problemi. Ordinari latini sorvegliavano

monasteri greci – lo vediamo sullo schema della struttura ecclesiastica in

Calabria –, vescovi greci monasteri latini. Semmai era la funzione

sacramentale del vescovo a richiedere una distinzione secondo i riti

benché uno dei nostri testi dimostri proprio la commistione anche

liturgica non più tollerabile da parte del papa. Per ragioni pastorali c’era il

bisogno di avere, accanto al vescovo residente di un rito un altro, vicario

o ausiliario, per i fedeli del rito diverso. Il nodo giuridico da sciogliere era

il divieto canonico, a ragione del particolare legame quasi sposalizio tra

vescovo e diocesi, tra pastore e gregge, della contitolarietà di due vescovi

per la stessa diocesi. In un primo periodo si ricorreva all’assistenza di un

vescovo dell’altro rito, titolare di una diocesi confinante; in un secondo

momento la soluzione in ambito latino era la ordinazione in partibus

(tuttora in uso).

Abbiamo una serie di esempi della convivenza e coesistenza di greci e

latini all’interno della stessa struttura ecclesiastica. Questo è il caso a S.

Michele di Troina, dove le fonti scritte sembrano alquanto ambigue, il

monumento architettonico come mi insegna Camillo Filangeri parla

invece chiaro. A Catania troviamo canonici greci nel capitolo della

cattedrale, non abbiamo invece testimonianze di una organizzazione

parrocchiale greca, che però interpreto non come assenza di greci in città

e diocesi ma come segno di una stato pacifico di relazioni tra i riti che

consentiva una sorta di coabitazione. Notizie di un analogo inserimento

nell’ambiente latino ci pervengono anche dalla Puglia, per esempio da

Brindisi o da Altamura. Più fitta ancora è la documentazione per la

Calabria. Il capitolo di Santa Severina era ancora esclusivamente greco

nel 1198, quando Innocenzo III allontanò un candidato imposto da forze

politiche locali non tanto perché latino ma soprattutto perché doveva

essere un individuo privo della cultura indispensabile per una carica

ecclesiastica di un certo rilievo: venne infatti definito barbarus. Che in

questo periodo i canonici fossero sposati ci riferisce una lettera dello

stesso papa del 1211; minacciando di sottrarre ai canonici le mogli, il

signore di Santa Severina, Pietro Guiscardi, riuscì nel suo intento di

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estorsione: il capitolo cedette al convento di San Giovanni in Fiore la

chiesa di Calabromaria, chiesa che, precedentemente e con la conferma da

parte di Federico II, era stata conferita ai cistercensi di Corazzo. Quando

l’arcivescovo tornò dalla sua visita a Roma, revocò subito questa

concessione invocando contemporaneamente la speciale protezione del

papa contro questo sopruso del potere laico. A partire dal 1220 possiamo

costatare la presenza di canonici latini anche a Santa Severina, però come

minoranza: nel 1275 per esempio sono quattro greci e un latino.

Sotto certi aspetti un’eccezione è il vescovo Giovanni di Crotone il

quale, contraddistinto dal titolo di magister, aveva alle spalle un corso di

studi non meglio identificabili e forse in passato una carriera nella

cancelleria di Federico re di Sicilia. A lui, in considerazione della sua

padronanza del greco e del latino e del fatto che nella diocesi di Crotone

v’erano fedeli appartenenti ad entrambi i riti, papa Onorio III concesse nel

1217 la facoltà di celebrare sia in rito greco sia in rito latino. Dall’uso

della lingua latina non doveva derivare alcun pregiudizio ai canonici di

Crotone. Se questo sia da interpretare come indizio per una composizione

esclusivamente greca del capitolo della cattedrale è una questione aperta.

Giovanni comunque gestì con successo le trattative col despota di Epiro,

Teodoro Comneno, per ottenere la liberazione del cardinale legato

Giovanni Colonna caduto nelle mani di Teodoro durante il fallito attacco

a Durazzo, fu nominato ripetutamente giudice delegato dal papa, ma

verso la fine del 1220 rinunciò alla carica di vescovo e si ritirò in un

monastero o un eremo. Un altro conoscitore delle due lingue tra i

successori di Giovanni è il magister Nicolò da Durazzo che prima della

nomina a vescovo era membro dell’amministrazione finanziaria della

curia romana. Le sue citazioni falsificate dai padri della chiesa greca

furono ritenute autentiche da Tommaso d’Aquino ed ebbero così, in

Occidente, influenza e credito per secoli. Altri casi di simbiosi grecolatina,

anche a livello linguistico, troviamo a Santa Severina ed a

Rossano. Ruggero Stefanizzi, arcivescovo di Santa Severina firma, nel

1275, un documento a favore dell’archimandrita di S. Maria del Patir in

questa maniera: + Ego Rogerius Sancte Severine archiepiscopus

ta agiwtata upegraya e il suo collega Angelo, arcivescovo di

Rossano, sottoscrive nel 1280, sempre a favore del Patirion, + Ego

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Angelus, Rossanensis archiepiscopus grecus, visis et prelectis autenticis

privilegiis hiis translatis capitulis et transumptis propria manu

subscripsi. Entrambi gli esempi provengono dalla documentazione ancora

inedita del Fondo Chigi della Biblioteca Vaticana.

Ciò era in pieno accordo coi principi stabiliti ai tempi di Innocenzo III.

Il Lateranense del 1215 aveva espressamente autorizzato la coesistenza di

rito greco e latino nei confini della stessa diocesi senza riferimento al rito

del titolare. Inoltre il concilio aveva stabilito il dovere della competente

autorità ecclesiastica, normalmente del vescovo, di provvedere, in aree di

popolazione mista greca e latina, all’impiego di chierici idonei per ogni

gruppo linguistico che fossero quindi in grado di amministrare i

sacramenti e celebrare la messa con le debite differenze di rito e lingua.

Una disposizione ribadita dal sinodo di Melfi, ma non erano i greci ad

aver subito i danni. Alcuni prelati latini, per motivi poco nobili, avevano

insediato in chiese di comunità latine preti di rito greco i quali si

contentavano, a quanto sembra, di una retribuzione ancora inferiore a

quella degli altrettanto precari vicari di rito latino.

Il riconoscimento del rito greco non indusse però la Santa Sede a

tollerare ugualmente le commistioni di rito che derivarono dalla vicinanza

degli insediamenti e dall’esperienza quasi giornaliera del diverso. Fu

messo in discussione soprattutto il celibato, vincolante per il clero latino

al momento del passaggio dagli ordini minori a quelli superiori, cioè per

suddiaconi, diaconi e sacerdoti. Ai preti di rito greco, il Lateranense del

1215 aveva riconosciuto il diritto al matrimonio contratto secondo la

prassi bizantina. Ne derivò una conseguenza nettamente in contrasto con

una consolidata norma latina: i figli di preti, per l’ambiente latino

maculati del defectus natalium che impediva loro di accedere allo stato

clericale senza esplicita indulgenza pontificia, avevano le carte in regola

se erano figli di un prete greco. Costoro potevano addirittura succedere al

padre nel beneficio da lui tenuto, praticando in questo modo una quasi

ereditarietà del beneficio ecclesiastico contro la quale la chiesa romana

aveva combattuto per secoli, come dimostra il titolo 17 del primo libro

delle decretali di Gregorio IX: De filiis presbiterorum ordinandis vel non.

La congenita astuzia dei meridionali trovò subito il cavillo giusto: il

chierico latino prese moglie agli ordini minori, poi passò al rito greco

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facendosi ordinare sacerdote da un vescovo greco mantenendo la

famiglia; i più furbi dopo qualche anno chiedevano il reinserimento nella

chiesa latina – una specie di sanatoria – con la pretesa di potersi tenere la

moglie. E l’eventuale figlio, al momento della vacanza, si presentava per

la successione. Questi casi mal visti dalle autorità romane incontriamo tra

l’altro nelle decretali. La stessa problematica era anche al centro del terzo

capitolo degli statuti sinodali di Melfi del 1284. Un numero non tanto

esiguo di chierici latini ebbero davanti agli occhi l’esempio dei preti greci

sposati. Dopo aver ricevuto gli ordini minori contraevano matrimonio –

fatto lecito anche nell’ordinamento latino –, in seguito passavano al rito

greco che consentiva loro di farsi impartire anche gli ordini maggiori

senza dover rinunciare al proseguimento della vita matrimoniale. Il

cardinale Gerardo, a scanso di equivoci, dispose che nessun chierico

potesse venir ordinato sacerdote senza esplicita rinunzia allo stato

matrimoniale, fatta eccezione soltanto per quei soggetti che fossero in

grado di comprovare senza ombra di dubbio la loro discendenza da

genitori greci. La disposizione non sembra aver avuto un effetto tale da

stroncare quest’abitudine, considerando il fatto che ancora la

commissione per i Greci del Cinquecento si trovava casi analoghi

all’ordine del giorno con una certa regolarità.

Al già ripetutamente citato sinodo di Melfi la questione più importante,

ma sempre dopo la tassa una tantum per finanziare la spedizione contro

Pietro III d’Aragona, era di natura dogmatica. Ribadendo un decreto del

II Concilio di Lione (1274) si cercava di costringere tutto il clero greco

del regno o meglio della sua parte continentale benché, sulla carta, le

disposizioni del sinodo avrebbero avuto vigore in tutto il Regnum Sicilie,

a inserire la clausola del filioque nel Credo, accettando così la dottrina

romana che lo Spirito Santo procedesse sia dal Padre sia dal Figlio. Entro

due mesi sarebbe entrato in vigore il relativo paragrafo dello statuto, che

minacciava ai trasgressori la sottrazione di benefici e prebende da parte

del vescovo diocesano o del superiore ecclesiastico, minacciando altresì

di sospensione dall’incarico le autorità competenti in caso di mancato

intervento. I vescovi avrebbero dovuto sorvegliare annualmente il rispetto

di tale disposizione. Sappiamo ben poco sull’effetto della norma. Ci si

potrebbe anche chiedere come il cardinale Gerardo si immaginasse sia la

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realizzazione sia il controllo: si doveva inserire una parola latina nella

doxologia greca o come doveva fare un vescovo magari ignaro del greco

a controllare se effettivamente il clero greco alle sue dipendenze

obbedisse al comandamento romano?

III. Il Mezzogiorno nella casistica delle decretali

Non c’è dubbio che potremmo discutere le decretali relative ai greci

isolatamente in relazioni agli argomenti trattati come fecero i canonisti

del passato; dal punto di vista storico mi sembra però consigliabile

tracciare anche, se pur con rapidi accenni4, un quadro del contributo che

dette il Meridione in materia di decretalistica, del contesto, quindi, in cui

si inseriscono quei casi nei quali erano coinvolti espressamente anche

greci.

In primo piano troviamo quesiti relativi al diritto matrimoniale in

senso lato che comprende anche tutti i tipi di rapporti sessuali

matrimoniali o extraconiugali che siano, e non mancano né un pizzico di

pratiche magiche né la “fuitina”. L’assenza di una casistica particolare

che coinvolga espressamente soggetti greci non significa affatto che non

ci siano stati tali rapporti, matrimoniali e non, tra greci e latini, ma

sottolinea invece che dal punto di vista del diritto canonico occidentale

essi non erano considerati di natura abnorme, e che nessun vescovo – la

prima istanza anche in questo campo – abbia sentito il bisogno di chiedere

il parere del papa. A dimostrazione del fatto che in una situazione di

convivenza ravvicinata tali rapporti siano inevitabili servono i casi di

rapporti considerati illeciti con soggetti di fede musulmana . Da un lato ci

sono i casi di stupro consumato su donne e ragazzi, dall’altro la

convivenza more uxorio di un saraceno con una cristiana per 14 anni,

entrambi nella giurisdizione dell’arcivescovo di Palermo. Alessandro III

prevede pene pecuniarie per il delitto di stupro, in casi particolarmente

gravi verrà però chiesto l’intervento del tribunale regio. Questo si collega

bene alla contemporanea legislazione normanna sugli adulteria e la

competenza riservata in essa al tribunale regio in caso di insultus et

4. Più dettagliatamente l’ho fatto in altra occasione.

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violentia. Matrimoni tra cristiane e saraceni vengono interdetti, come pure

rapporti sessuali, il caso inverso non sembra affatto contemplato dalla

normativa. La prima parte della decretale relativa all’abuso sessuale

veniva anche recepita nel Liber Extra.

Inoltre vediamo il clero coinvolto nelle risse e nei giuochi alquanto

violenti praticati nei paesi e re Guglielmo rimproverato dal papa a

proposito degli interventi pubblici nel regime dei beni ecclesiastici.

Questi argomenti meriterebbero una trattazione a parte, mentre qui

concentriamo l’attenzione sulla casistica a partecipazione greca.

Di costante attualità veniva considerata una decisione di Celestino III

comunicata all’arcivescovo di Otranto nella seconda metà dell’anno 1192.

Il fatto va raccontato perché nelle bellissime cinquecentine del Liber

Extra che, grazie alla gentilezza dell’amico Enrico Mazzarese, ho potuto

consultare in questi giorni, il testo è già ridotto all’essenziale benché il

caso, senza riferire i nomi, venga descritto in apparato e si rinvii anche

alla Compilatio II ubi integra narratio facti huic fragmento magnam

lucem affert, si mette però in evidenza soltanto il nucleo della decisione:

volumus de cetero commixtiones et consuetudines rituum in ordinibus

conservari. Qui un errore di stampa sembra addirittura esprimere il

contrario di quello che Celestino aveva ordinato: in futuro cercate di

evitare tale mescolanza di rito nelle ordinazioni sacerdotali. Mentre sulla

datazione e sul destinatario, l’arcivescovo di Otranto appunto, la Collectio

Seguntina ha fatto piena luce non c’è altrettanta chiarezza sul nome del

vescovo greco: alcuni redattori di collezioni, tra di loro quello della

Seguntina che pur aveva a disposizione il registro del papa, hanno lasciato

in bianco non potendolo inquadrare con le loro conoscenze geografiche.

Ma neanche noi riusciamo a identificare la sede di un vescovo

Cathamarsiliensis – questa sembra la forma più accreditata –. Questo

vescovo aveva ordinato sacerdote il latino Giovanni, senza osservanza dei

tempi previsti dall’ordinamento latino (quattuor tempora), il vescovo

diocesano latino che nei testi non è meglio identificato l’aveva sospeso

per questa irregolarità, e Giovanni, probabilmente con l’aiuto del signore

nella cui cappella prestava servizio, fece ricorso al papa. Questi, dopo

aver ricordato le norme ecclesiastiche Cum secundum regulas

ecclesiasticas … ed aver costatato la prassi vigente in partibus Calabrie

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(espressione piuttosto dotta per la fine del dodicesimo secolo) che vedeva

ordinazioni di Latini da parte di Greci e viceversa Quia vero sicut dicitur

in partibus Calabrie latini a grecis et greci a latinis secundum alterutrius

institutionis observantiam ordinantur…, incaricò l’arcivescovo, in quanto

esperto delle usanze locali, di indagare e di reintegrare Giovanni nel caso

che la sua ordinazione fosse consona alla prassi locale.

Altri esempi relativi ai Greci saranno trattati sulla base dei testi

allegati.

Il racconto impressionistico del monachesimo greco, dell’intervento

dei sovrani normanni nella sua organizzazione, della sottomissione di S.

Elia di Carbone a Monreale per motivare ulteriormente la sua erezione ad

arcivescovado, le crisi e le riforme nel ’400 e ’500, le successioni e

sostituzioni nelle cariche vescovili, i problemi economici e tanto altro —

non posso approfondire tutti questi aspetti in un breve saggio5 e quindi

cercherò di commentare rapidamente i testi dell’appendice.

IV. Analisi dei testi

Passiamo ora alla discussione della documentazione allegata. L’ordine

che seguirò e quello stabilito dalla cronologia delle fonti. Mi auguro che

alcuni esempi provochino una discussione animata che potrebbe trovare

spazio sulla rivista!

Il primo testo ci dimostra l’ambientazione del racconto miracoloso in

un contesto feudale più familiare ad un pubblico normanno che facilitava

la comprensione della disperazione di Pietro che aveva, come sembrava,

perso il cavallo appena acquistato con una notevole spesa a causa della

sua strafaloneria.

Il secondo è una firma sotto un documento proveniente dalla Terra di

Bari; più precisamente fu redatto nella città di Bari nel 1105. L’autore di

questo verso – Grifone stesso data l’autografia della firma – ha espresso

bene, a mio parere, la complessa situazione demografica tra greci e latini

longobardi che si era radicata in Puglia durante il dominio bizantino e che

la conquista normanna non aveva cambiata: la città di Bari ancora un

5. Spero che i riferimenti bibliografici lo consentino all’interessato.

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centro di popolazione greca benché sotto il regime anche giuridico dei

latini, quindi critis Barensis, e la regione saldamente in mano latina e

perciò: Iudex Apuliensis. Il motivo per cui questo ragionamento ha preso

poi la forma del versetto, fenomeno piuttosto diffuso sul versante

adriatico dell’Italia meridionale, costituirebbe l’argomento di un’altra

conversazione da sviluppare in altra sede.

Il terzo testo, benché non riguardi direttamente né i Greci né il

Meridione, lo presento a titolo di cronaca poiché esso è poco conosciuto:

due commercianti latini, l’uno Romano e l’altro Genovese, i quali non

volevano risolvere il conflitto sorto tra di loro a Costantinopoli lì sul

Bosforo, ma a casa, in Italia. Il papa Adriano IV, in questo caso,

interviene nell’esercizio del dominio temporale su Roma, non in qualità di

sommo pontefice pur servendosi degli strumenti disponibili a

quest’ultimo. Sull’esito della faccenda non siamo informati .

Il quarto esempio illustra lo sforzo economico talvolta necessario per

l’acquisto di libri indispensabili per il culto: benché si tratti di un affare

concluso tra greci interviene l’amministrazione latina della città di Bari

per redigere l’atto di cessione di una casa di proprietà della chiesa di San

Simeone de Scutellis obediens et subiecta Barensis archiepiscopatus in

cambio di otto libri “ecclesiastici” in scrittura greca ed inoltre dietro

pagamento di due once di tarì d’oro da parte dell’acquirente Giovanni

Nauclero. Ci troviamo di fronte alla normalità del periodo: la chiesa di

rito greco sottoposta alla giurisdizione dell’ordinario latino. Prima di

procedere alla transazione l’abate aveva anche interpellato taluni

sapientes per avere una specie di nullaosta, cioè la conferma da parte loro

che la cessione della casa alle condizioni previste non significasse una

diminuzione illecita del patrimonio ecclesiastico rigorosamente vietata

dalla normativa canonistica vigente.

Il quinto brano è estratto da un diploma concesso da Guglielmo II nel

1188 al vescovo di Patti a conferma della composizione raggiunta nella

controversia contro il cappellano regio, magister Benedetto. Questi aveva

contestato, sostenendo l’appartenenza alla chiesa di S. Filippo del Mela

(in valle Melacii) concessagli in prebenda dal re, il possesso di un

territorio i cui confini vengono descritti nel documento al vescovo, mentre

quest’ultimo lo reclamava per la sua dipendenza S. Lucia del Mela

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fondata, a sua volta, all’inizio del secolo su un insediamento saraceno. I

nomi presenti nella descrizione non sono contraddistinti da epiteti di

carattere etnico con l’eccezione del saraceno Maimone, villano della

chiesa di S. Filippo, però i nomi stessi rivelano l’etnia diversa. Questo

fatto va letto, a mio parere, come testimonianza di una pacifica

convivenza ed un analogo stato sociale che rendeva superflua una

distinzione particolare tra i gruppi etnici. Era sufficiente l’ascrizione come

burgensis ad uno o all’altro degli insediamenti. Una fitta presenza greca

in zona è ancora attestata nelle Rationes decimarum della colletta indetta

per il 1308 – 1310: a Santa Lucia sono i cappellani Andrea e Nicola, a San

Filippo un certo Tommaso a rendere il loro contributo. Colgo l’occasione

per far notare che, sempre in diocesi di Messina, troviamo il pagamento

congiunto di tutto il clero sia greco sia latino di un comune che disponeva

di chiese officiate nei due riti: a Caronia6, a Ficarra , a Randazzo, a Geraci

(Siculo). Se poi la successione presbiteri … greci et latini abbia un

significato quantitativo in relazione alla consistenza demografica non

sono in grado di stabilirlo.

Arriviamo dunque al gruppo delle decretali di cui sono in grado di

presentarvi il testo intero. La prima di queste è il responso di Clemente III

a un quesito postogli dal vescovo Bartolomeo di Agrigento – autore di

una invettiva contro il malcostume del clero sia greco sia latino7 –,

databile al 1190 ed ascrivibile a Bartolomeo sulla base della Collectio

Seguntina. Recepita anche nel Extra (X 5.38.7) e quindi di continua

importanza, la decretale stabilisce come sanzione la sospensione perpetua

a divinis contro quei sacerdoti greci i quali premeditatamente o in maniera

dolosa avrebbero soffocati i loro figli con ulteriore penitenza in caso di

scandalo pubblico; in caso di incuria invece si poteva limitare la sanzione

a sospensione temporanea con chiaro riferimento alla funzione preventiva

della pena. Doveva essere una prassi diffusa magari provocata dalla

rinunzia all’aborto che anche la chiesa greca non considerava del tutto

lecito – ma fare morire i figli non mi sembra tanto preferibile. Comunque,

il testo è anche una testimonianza per la persistenza del rito greco e quindi

6. Alla riscossione della seconda rata vengono nominati Presbiter Romanus grecus

et Riccardus, rectores ecclesiarum SS. Marie et Nicolai casalis Caronie .

7. Qua in clericorum mores invehitur grece et latine.

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della popolazione greca nella Sicilia sudoccidentale dove a livello

documentario è rimasto ben poco.8

In perfetta sintonia con i costumi del contemporaneo monachesimo

latino troviamo i monaci del Patirion vicino Rossano. L’archimandrita si

era rivolto al papa per sapere come comportarsi nei confronti dei suoi

monaci rissosi. Celestino III citando una decisione di Alessandro III la

quale sottopone quei monaci che si picchiano dentro il chiostro al giudizio

del loro abbate per la pena e l’assoluzione , fa applicare le stesse modalità

previste per i Cistercensi. Diverso sarà il trattamento nel caso che la

vittima del picchiatore abbia perso l’uso di una delle articolazioni o sia

addirittura deceduta. Se l’abate non se la sentisse di trovare la sentenza

giusta dovrebbe rivolgersi al vescovo diocesano. Qui la cancelleria

pontificia mancò della solita precisione: nel caso del Patirion non sarebbe

stato competente l’arcivescovo di Rossano ma di nuovo il papa poiché il

monastero era direttamente soggetto al pontefice romano.

Dopo questa bella immagine di vita in convento passiamo finalmente

al caso citato in apertura. Problemi aveva creato all’editore lo

scioglimento del titolo del vescovo che è il primo dei tre destinatari

delegati da papa Celestino III a risolvere la querela di Nicola contro

Giovanni Grafeo e Filippo de Lagene: Mazara in Sicilia sembrava

collegarsi male con Capaccio e con la prassi di scegliere dignitari

ecclesiastici che operavano nella stessa regione. Escludendo la Lucania,

dove si prestava come possibile emendamento per Mazara la sede di

Marsico, per la presenza dei parrocchiani greci e considerando anche

l’incarico a un cappellano regio HOLTZMANN considerò l’arcidiacono di

Capaccio in qualche modo distaccato alla corte normanna di Palermo e

quindi decise per la lectio Mazariensi. Altri si ostinarono ad ambientare

la storia in Lucania, ma anche i nomi dei Greci portano senza dubbio in

Sicilia e, soprattutto, l’arcidiacono di Capaccio si rivela canonico di

Palermo di nome Bartolomeo che troviamo testimone in un documento

dell’arcivescovo Gualtiero nel 1188.9 Il cappellano dovrebbe essere

8. Fatto confermato dalle Rationes decimarum, dove incontriamo sacerdoti greci di

nome latino: Henricus, Fridericus Calsia, Johannes Sutor, Guillelmus, Riccardus .

9. Il KAMP ritiene possibile che sia identico con l’omonimo vescovo di Siracusa

(1215 – 1226).

<http://www.medioevoitaliano.org/enzensberger.greci.pdf> (Rassegna Storica online, 1, 2000)

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Rainaldo tesoriere della chiesa di Palermo e anche notaio della cancelleria

reale; emissario di Tancredi durante le trattative per il concordato di

Gravina era forse per questa via conosciuto al papa. Il vescovo, infine,

sarà Lorenzo che nella lacunosa serie dei presuli di Mazara è attestato per

il 1188. Il fatto più interessante della questione delle decime mi sembra

nel nostro contesto che la fonte dimostra la coabitazione di fedeli dei due

riti nella stessa parrocchia in questo caso gestita da un sacerdote latino,

assente ma probabilmente sostituito da un vicario, e l’indicazione che una

chiesa per i Greci in quella zona non esisteva ed i Greci quindi si

facevano persino battezzare nella chiesa dei Latini. Considerando questo

scenario si dovrebbe arrivare alla conclusione che le attestazioni di preti e

chiese di rito greco non forniscono un quadro completo di tutta la

popolazione greca, ma solo di quella parte che viveva in insediamenti

omogenei o comunque così consistenti da consentire economicamente la

gestione di chiese per entrambi i riti. Da sottolineare è anche che secondo

l’esposto del querelante i possedimenti dei due si trovano nella stessa

parrocchia; indicazione importante poiché su domanda del vescovo di

Siracusa, Riccardo Palmer, Alessandro III aveva deciso a chi dovessero

spettare le decime nel caso di soggetti che risiedevano in una parrocchia,

ma lavoravano e guadagnavano in un’altra.

In conclusione un brano dalla Rhetorica antiqua di Boncompagno da

Signa (* circa 1170 a Signa, † circa 1240 a Firenze). L’impostazione

enciclopedica della sua opera porta l’autore a considerare anche il pianto

una manifestazione retorica. Dall’ordine geografico che segue la sua

descrizione mi sembra probabile che consideri proprio il costume dei

Greci nell’Italia meridionale accanto a quello dei Siciliani, Pugliesi,

Campani e Calabresi. Vi risparmio i tedeschi che Boncompagno mette

vicino ai Saraceni, altrimenti sarebbe veramente da piangere, ma non si

può ignorare la sua raffinata critica anticlericale che mette in rilievo la

gioia dei chierici quando muore un cristiano – lui non lo dice

espressamente ma anche allora si pagava profumatamente.

<http://www.medioevoitaliano.org/enzensberger.greci.pdf> (Rassegna Storica online, 1, 2000)

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Figura 1: BF. 651 – 653, a.1212

Figura 2: BF. 3584, a.1247

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APPENDICE

E l e n c o d e i t e s t i

1. Il cavaliere greco

2. Critis Barensis …

3. Ruberie latine a Costantinopoli

4. Un patrimonio per libri

5. Una comunità rurale plurietnica

6. Il prete infanticida

7. Rissa in convento

8. Assenteisti ed evasori

9. L’enciclopedia del pianto

10. La tassazione curiale

a) Esempi di tassazione b) Esempi di esenzione c)Grafici

11. La struttura ecclesiastica della Calabria

12. Riferimenti bibliografici

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1 . s e c . X I : U n m i r a c o l o d i S a n t ’ E l i a l o S p e l e o t a .

Dal cap. 34 della Vita S. Helie, versione latina (fine sec. XI.) — Ed.

Maria Vittoria STRAZZERI, Una traduzione dal greco ad uso dei

Normanni: la vita latina di Sant’Elia lo Speleota, in: Archivio storico per

la Calabria e la Lucania 69, 1992 (pubblicato 1994), 1 – 108, qui 70 riga

964 – 987.

Rursus in eodem tempore e q u e s quidam nomine Petrus erat

quem Dei famulus pro sua bona intentione colebat. Qui quadam die cum

ad eum secundum usus consuetudinem venisset equum super sepulcra

quorundam nuper defunctorum monachorum stabulavit suum. Hora erat

quasi vespera. Adiit autem beatum virum. Qui post pacis osculum locutus

cum eo prandere eum fecit. Post refectionem vero lecto membra pausans

dulce dormivit. Ecce vero ante aurore crepusculum in visu monachus

astitit, e²tate iuvenis eique dixit: ” Quid fecisti? Cur super nostra

habitacula tuum equum stabulare voluisti? Ab illo igitur penitere habebis.

” A somno ilico excititur, ad stabulum itur, equus terre² prostratus

semivivus invenitur. Currit ad patrem, seriatim visionem et factum

indicat, clamavit, eiulat, pretium nondum equi se dedisse accusat, suis a

dominis se exhereditaturum conqueritur si d i f f i c u l t a s b e n e f i c i u m

d e s e rviendi inesse videatur. ” Affer “, inquit sanctus, ” aque²

stillantis a rupe super hanc nostram criptam imminenti. ” Cumque

detulisset in vasculo benedixit atque ei dixit: ” Hanc aquam gutturi eius

infunde et statim revocabitur sanitati pristine.” Quod cum factum fuisset

equus a solo quo iacuerat seminex esurgens seque excutiens mandere

ce²pit nullaque egritudo in illo apparuit. Eques de vectoris sanitate letus

effectus patri sancto gratias post Deum agens domum rediit et ulterius

quod fecerat scilicet stabulationem equitali in loco minime presumpsit.

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2 . S o t t o s c r i z i o n i p u g l i e s i v e r s i f i c a t e

+ Critis Barensis Grifo iudex Apuliensis.

Bari 1105

COD.DIPL.BARESE 5, Nr.42

Grifone, giudice a Bari, con una firma semplice in

COD.DIPL.BARESE 5, Nr.43 :1105, Nr.53 :1108, framm.10

:1108. Nel 1107 il catepano Gosfridus Gallipolitanus gli

conferma una donazione del duca Ruggero: ibd.. Nr.47. Cfr.

BABUDRI, Poesia 57. Critis da krithV .

+ Non opponatur quia Kurileone dicatur.

Corato 1159

COD.DIPL BARESE 9, 63f. Nr.55: 1159 Mai, ind 7

+ Stephanides natus Iohannes scriba testatur.

Conversano? 1162

CONIGLIO, Conversano 223f. Nr.107: 1162 Jan.

3 . R u b e r i e l a t i n e a C o s t a n t i n o p o l i

1155 Papa Adriano IV incarica l’arcivescovo ed i consoli di

Genova di provvedere al risarcimento dei danni inflitti al cittadino

romano S. dal loro concittadino Baldoino.

— PFLUGK -HARTTUNG, Acta Pontificum …, Stuttgart, 1884 , p.357 Nr. 405

Adrianus episcopus, servus servorum dei, venerabili fratri archiepiscopo

et dilectis filiis consulibus Ianuensibus salutem et apostolicam

benedictionem. Dilecti filii et fidelis nostri S., civis Romani, nuper conquestionem

accepimus, quoniam, cum Constantinopolim remaneret,

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Bald(uinus), filius Henrici Guercis, concivis vester, damnum LX librarum

ei presumpsit inferre. Quocirca per presentia vobis scripta mandamus,

quatenus ei universa ablata velociter et sine fatigatione restitui faciatis.

Alioquin nos in iusticia sua non poterimus ei deesse, nec obsistemus

ulterius, quominus ad recuperationem rerum suarum debeat, prout

melius potuerit, laborare. Datum Rome apud Sanctum Petrum, XVI Kl.

Martii.

4 . U n p a t r i m o n i o p e r l i b r i

1171 Ursone, abate di San Simeone di Bari, acquista otto

libri liturgici greci in cambio di una casa attigua alla sua chiesa .

— Roma, Archivio Doria-Pamphili (dall’archivio di S. Elia

di Carbone); ed. ROBINSON, Cartulary II, 2, 84ff. Nr. 50.

Dominice incarnationis anno millesimo centesimo septuagesimo

primo, regni autem domini nostri Gulielmi victoriosi regis Sicilie, ducatus

Apulie, principatus Capue anno sexto, die septimo mensis Decembris,

quarte indictionis. Ego Urso, sacerdos et abbas licet immeritus ecclesie

Sancti Simeonis, que de Scutellis vocatur et est obediens et subiecta

Barensis archiepiscopatus, declaro, quia pertinet eidem sancte mee

ecclesie una domus orreata cum eadem sancta ecclesia coniuncta. Que

videlicet domus quia parum et fere nullum nobis praestat ecclesiasticum

necessarium duxi illam Iohanni Nauclero filio domini Retini Barensis

tradere et vicariare. Et recepi ab illo ex inde in vicaria alias res mobiles

que magis utiles et necessarie sunt eidem nostre sancte ecclesie. Ordine

tamen et ratione subiunctis unde colloquium habui cum quampluribus

civibus Bari sapientibus, qui quidem satis utile et honestum tale negotium

eidem nostre sancte ecclesie cognoverunt unanimiter illud michi facere

mandaverunt. Quapropter rogavimus dominum Iohannem Macciacotam

regalem Barensem discretum iudicem ut eidem nostro facto interesset. Et

continuo ante eiusdem domini iudicis presentiam et aliorum bonorum et

nobilium hominum subscriptorum testium quibus tam predicta quam

subscripta nota facta sunt omnia. Ego qui Urso sacerdos et abbas bona

mea voluntate una cum Kiri Sectano Calabrensi meo advocato per

festucam dedi, tradidi et vicariavi eidem predicto Iohanni Nauclero totam

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et integram prescriptam domum orreatam. Que videlicet domus his

finibus ambitur: A prima orientis parte est altera domus ipsius ecclesie, a

secunda meridiei parte est ipsa sancta ecclesia, a tertia parte occidentis

est claustrum ipsius ecclesie, a quarta denique septentrionis parte est

domus et palearia Meliciacce de Ieronimo. Infra hos siquidem fines

dedi, tradidi et vicariavi coram presentia predicti domini iudicis et

subscriptorum testium cum iamdicto meo advocato eidem predicto

Iohanni Nauclero totam et integram praesignatam domum orreatam una

scilicet cum inferioribus et superioribus suis parietibus lignamine,

tectumine et guttis suis, transitibus et exitibus suis atque cum ascensu et

descensu suo per scalas pertinentes et cum omnibus intra se habitis et

contentis sibique pertinentibus et cum omnibus pertinentiis suis. Et pro

huius presentis dationis, traditionis et vicariationis confirmatione nunc de

presenti recepi ex inde ab eodem predicto Iohanne de Retina in vicaria

cum predicto meo advocato o c t o l i b r o s e c c l e s i a s t i c o s g r a g i s

l i t t e r i s s c r i p t o s . Qui omnes valde sunt necessarii eidem sancte

mee ecclesie , tamen ut inde meliorata sit haec nostra vicariatio, dedit et

adiunxit michi causa meliorationis ad opus et utilitatem praedicte sancte

ecclesie suscipere cum iamdicto meo advocato duas uncias aureorum

tarenorum bonorum Siciliae. In ea ratione ut a presenti die unanima haec

praedicta datio, traditio et vicariatio cum suis omnibus pertinentiis

qualiter prelegitur transacta sit in potestate et dominio eiusdem praedicti

Iohanis de Retina et eius heredum habendi, dividendi, possidendi et

omnia in ea et de ea faciendi, ut eorum fuerit voluntas, sine mea et de

meis posteris abbatibus, prioribus, rectoribus requisitione et contrarietate

et de omnibus hominibus. Ego et mei successores, defensores inde eis

simus ab omni nostro et eiusdem sancte ecclesie debito servitio et

relegatione et ab omni huiusmodi persona que eos inde querere vel

molestare seu calumniare presumpserit, quotiescunque ut quieto iure et

sine omni dampno atque impedimento semper ex inde maneant omni

parte securi. Super hoc autem ego qui sum Urso sacerdos et abbas bona

mea voluntate una cum iamdicto meo advocato ante ipsum dominum

iudicem et subscriptos testes guadiam et me ipsum mediatorem eidem

praedicto Iohanni de Retina dedi eo tamen ut ego et mei posteri abbates,

priores et eiusdem ecclesie rectores maneamus et stemmus semper in hac

praedicta datione, traditione et vicariatione facta in prenotato ordine et

ratione et in nullo eam infringere vel removere queramus, sed

defendentes eam ab omnibus, ut prelegitur, omnia faciamus et

<http://www.medioevoitaliano.org/enzensberger.greci.pdf> (Rassegna Storica online, 1, 2000)

29

adimpleamus praedicto Iohanni Nauclero et eius heredibus qualiter sunt

expressa; sed si que praeleguntur non adimpleverimus et per causationem

seu per legem eos inde misimus quoquomodo vel ingenio demus eis

penam centum aureorum solidorum quecque tamen narrata sunt

adimplentes ingrati. Et pro his omnibus adimplendis ego prememoratus

Urso sacerdos et abbas vicariator obligatus et mediator licentiam eidem

predicto Iohanni de Retina Nauclero et eius heredibus praebui pignas eas

meas et meorum posterum abbatum, priorum et eiusdem sancte ecclesie

rectorum hunc et inhunc quascunque nobis ubicumque invenerint donec

praelecta omnia eis adimpleamus sine cautione et appelatione

pignerantibus. Hoc autem breve scripsit Elesantides Romualdus notarius

cum subnotatis presentialiter inventus.

† Regalis questor Barensium iudex Iohanis Macciacotta.

† Bartolomaeus Georgii filius.

5 . U n a c o m u n i t à r u r a l e p l u r i e t n i c a

1188 Dal diploma di Guglielmo II per il vescovo Stefano di Patti

— (D W.II. 149)

Quarum terrarum et vinearum divisiones, sicut ipsi proposuerunt, hee

sunt: videlicet a flumine Sancte Lucie sicut ascendit sepis vinee Coste

Fagie et | Robberti de Agnete usque ad sepem vinee Gualterii de

Ginucestro, ubi est fossatum, et inde ascendit vallis que est inter terram

et vineam Maymonis Lar|dofage, saraceni villani ecclesie Sancti Philippi,

et vineam Algerii versus orientem et inter vineam Johannis Stracari et

eandem vineam Algerii et vadit usque ad viam que | ducit ad Sanctum

Philippum et ad Sanctam Luciam. Abinde ascendit inter vineas Johannis

de Sergio, Gentilis et Rogerii, generi quondam Luce militis, burgensium |

scilicet Sancti Philippi, atque vineas filiarum Dominici et Gilberti de

Venatore, Eustasii, Grimaldi et Plastari, burgensium Sancte Lucie, usque

ad sepera et fossatum | que sunt inter maiorem vineam Sancte Lucie et

<http://www.medioevoitaliano.org/enzensberger.greci.pdf> (Rassegna Storica online, 1, 2000)

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vineam eiusdem Rogerii. Deinde sicut veniunt ipsa sepis et fossatum

usque ad avenellam que ducit ad Sanctum | Philippum , et inde vadunt

per medium fossati , quod est liberum de vinea Sibilie , filie quondam

Raonis , burgensis Sancti Philippi, et transeunt vallonem usque ad sepem

et fossa|tum que sunt inter vineam Petri Scazioti , burgensis Sancte

Lucie, et vineam Philippi de Hebdochia, burgensis Sancti Philippi, et

vadunt per fossatum ipsum et sepem et per sepem | que est inter vineas

Arcudii Changemii et Heritionis et ipsam vineam Philippi de Ebdochia et

vineam Scarparene, et descendunt ad conductum aque molendini Sancti |

Philippi, et divertunt versus meridiem paulisper usque ad terram Nicolai

Cantamissa, et vadunt inter ipsam terram et terram predicti molendini

recta linea usque ad | flumen Gaydare et inde ascendunt per ipsum

flumen versus meridiem et divertunt ad lapidem qui est in vinea Johannis

de Ursetta, et inde ascendunt usque ad cilium mon|tis, ubi est vinea

Buttatii, et vadunt per cristam sicut fluunt aque versus Sanctum

Philippum contra occidentem usque ad lapides albos qui sunt in vinea

Rogerelli | et descendunt per vineam Petri de Grimaldo in vallem Roberti

de Agnete et descendunt per viam fluminis Sancte Lucie, que est subtus

ripam, et vadunt per lapidem | magnum album immobilem usque ad

sepem prenominatam supradicti Coste Fagie.

6 . I l p r e t e i n f a n t i c i d a

1190 Papa Clemente III stabilisce le pene da infliggere a preti

greci i cui figli vengano trovati morti nei loro letti.

— Migne PL 204, 1490 Nr.26 ; indirizzo e data sulla base di Seg.

in HOLTZMANN, Collectio Seguntina 427 Nr. 26; cfr. HOLTZMANN,

Kanonistische Ergänzungen 163 Nr.222; It.Pont. X, 265 Nr.14;

ENZENSBERGER, Cultura giuridica 180.

Idem [= Clemens III. ] Agrigentino episcopo in eodem libro R.

Quesitum est a nobis utrum sacerdotibus Grecis, quibus legitimo

matrimonio licet uti, publica sit poenitentia imponenda, si eam sibi

postulent pro filiis oppressis iniungi. Huic igitur consultationi taliter

<http://www.medioevoitaliano.org/enzensberger.greci.pdf> (Rassegna Storica online, 1, 2000)

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respondemus, quod si ipsis procurantibus vel studiose negligentibus filii

in lectis reperiuntur oppressi, ab officio altaris debent perpetuo abstinere

et eis gravior quam laicis , non tamen publica, nisi id in publicum veniat,

poenitentia debet imponi. Qui tamen non solum a sacrorum ordinum

exsecutione cessabunt, verum etiam si sunt infra ipsos, ad eos minime

assumantur. Verum si ex incuria mortui inveniantur filii in cunis , et fuerit

illud occultum, poena eis pro arbitrio poenitentiarii imponatur et in

terrorem aliorum ad tempus abstineant a celebratione missarum. Dat.

Lat. III id. iulii, pontificatus nostri anno III.

7 . R i s s a i n c o n v e n t o

1192 Celestino III all’archimandrita del Patirion

— ed. HOLTZMANN, Kanonistische Ergänzungen 155 Nr. 2O8.

Idem (Celestinus III.) archimandrite de Patiro in eodem anno.

Quod sedis apostolice responsum requiritis super his, de quibus

non inmerito dubitatis, et interim exinde prudentiam tuam commendamus

et amovemus a vobis auctoritate presentium omnem penitus materiam

dubitandi. Cum itaque proponendum duxeritis, utrum monachi, si intra

claustrum se percusserint, pro absolutione petenda sint ad presentiam

sedis apostolice destinandi, hoc vobis duximus felicis memorie Alexandri

predecessoris nostri sequentes vestigia10 respondendum, quod, si monachi

vel regulares canonici se intra claustrum percusserint, non sunt ad sedem

apostolicam destinandi, sed iuxta prudentiam et discretionem suorum

abbatum debent subici discipline, et si abbatum discretio non sit ad

eorum correptionem sufficiens, diocesani episcopi est providentia

requirenda. Secundum hoc igitur licebit tibi, dilecte fili archimandrita, si

quos ex monachis tuis tales inveneris, servata severitate discipline

regularis absolvere, nisi forte talis percussio fuerit, quod ex ea

membrorum diminuitio vel mors fuerit subsecuta. Dat. Lat. eodem anno.

10. X 5.39.2; JL. 12180 al vescovo di Exeter.

<http://www.medioevoitaliano.org/enzensberger.greci.pdf> (Rassegna Storica online, 1, 2000)

32

8 . A s s e n t e i s t i e d e v a s o r i

1193 Celestino III incarica il vescovo di Mazara, l’arcidiacono di

Capaccio ed un cappellano regio, di costringere i greci Giovanni Grafeo e

Filippo di Lagene a pagare la decima al loro parroco Nicola, studente a

Parigi .

— Walther HOLTZMANN, Kanonistische Ergänzungen zur Italia

Pontificia V – X, in: QFIAB 38, 1958, 67 – 175, qui 161f. Nr.220. — cfr.

ENZENSBERGER, Cultura giuridica 179f.

Idem (Celestinus III) Mazariensi episcopo, Caputaquensi

archidiacono et regio capellano in eodem libro.

Conquestione Nicholai s t u d e n t i s P a r i s i u s apostolatui nostro

innotuit, quod Iohannes Grafeus et Philippus de Lagene Greci

parrochiani sui de c i m a m r e d d e r e c o n t r a d i c a n t ea occasione

pretensa, quia cum Greci sint Latinis dare decimas non coguntur, cum

tamen ipsi et ea que possident sint in diocesi et territorio Latinorum et

pro parte decimas reddunt, sed pro longe maiori parte eas subtrahere

non verentur. Quia vero decime ex debito requiruntur, que tributa sunt

egentium animarum, et licet dispar sit in aliis ritus Grecorum ab

observatione Latinorum, tamen quoad parrochialia iura reddenda equa

est inter utrosque conditio, presertim cum alia Grecorum ecclesia ibi

constituta non sit, cui teneantur super huiusmodi respondere, et in

ecclesia Latinorum baptismum sumant, cui debent reddere tympanum,

discretioni vestre per apostolica scripta mandamus, ut, nisi alia

rationabilis causa impediat, eos a d d e c i m a r u m p r e s t a t i o n e m et

diligentius moneatis et efficaciter inducatis et, si per contumaciam

satisfacere contradicunt, censura eos ecclesiastica, sicut iustum fuerit,

appellatione postposita c o m p e l l a t i s . Quod si [ non ] omnes etc.

Dat.Lat. eodem anno.

<http://www.medioevoitaliano.org/enzensberger.greci.pdf> (Rassegna Storica online, 1, 2000)

33

9 . L ’ e n c i c l o p e d i a d e l p i a n t o

Da Boncompagno de Signa, Rhetorica antiqua

— ED. ROCKINGER, Briefsteller 141 – 143.

De hiis qui Romanos imitantur in planctu.

Siculi, Apuli, et Campani in plangendo mortuos et in ducendo

conputatrices obseruant consuetudines Romanorum.

Illi autem uel ille, qui uel que conputatrices habere non possunt,

pronunciant sicut sciunt carmina sui doloris.

De consuetudine Grecorum.

Greci namque in planctu ex parte obseruant consuetudines

Romanorum, et conputatrices inducunt. set dolor tunc de uena cordis

procedit quando Grecus aliquem pilum de barba euellit. ea siquidem ora

emittuntur clamores, et multiplicatur fletus.

De Calabritanis.

Uxor Calabritani defuncti remoto uelamine non paruam capillorum

quantitatem euellit, et quicunque uenit ad plangendum, semel aperta

manu percutit illam capitis particulam de qua uxor ipsa quasi ex toto

capillos euulsit, et dicit percutiens: o captiua.

…Qualiter plangunt Anglici Boemi Poloni Ruteni atque Sclaui.

Anglici Boemi Poloni Ruteni atque Sclaui potum suum cum fletu

permiscent donec ebrietate sunt affecti, et ita remanent solito iocundius

consolati.

De consuetudine Ungarorum.

Ungari amare plangunt. set dolor illis adherere non potest, quia

semper sunt in castris, et siluas et solitudines uenando transcurrunt.

De Sardis et Barbaris.

<http://www.medioevoitaliano.org/enzensberger.greci.pdf> (Rassegna Storica online, 1, 2000)

34

Sardi zelotipi more uenantium ictu uocis uerberant aerem quando

plangunt, et Barbari tanquam lupi ululant, et mulieres eorum ganniunt

sicut uulpes.

De felicitate sacerdotum et clericorum super planctu defunctorum.

Felicia sunt agmina sacerdotum, et clericorum caterue beate, quia

cum alii flebiles uoces emittunt ipsi dulciter modulantur, cum alii gemunt

ipsi rident, et cum alii pre dolore suspirant ipsi pre gaudio iocundantur.

1 0 . L a t a s s a z i o n e c u r i a l e

a) esempi di tassazione

La tassazione curiale (servitia)

I dati si riferiscono al pontificato di Innocenzo VI (1352 – 1362)

reddito annuo (fl.) servitia (fl.)

Rouen; Winchester 12 000 4000

Aquileia; Colonia; Canterbury;

Salisburgo

10 000 3333 1/3

Exeter; Lincoln; Magonza;

Passau; Nicosia (Cipro)

5 000 1666 1/3

Sul reddito si paga un terzo

Nessun vescovado italiano e tanto meno meridionale nel gruppo dei più

redditizi.

<http://www.medioevoitaliano.org/enzensberger.greci.pdf> (Rassegna Storica online, 1, 2000)

35

Il gettito della tassa dei servitia:

fl. %

Sicilia 6780 0,9

Italia meridionale 22 359 2,9

Italia centrale 19 517 2/3 2,5

Italia settentrionale 50 152 2/3 6,5

Italia (entrate complessive) 98 809 1/3 12,9

Grecia 3 797 1/3 0,5

Cipro 9 257 1,2

Impero germanico 136 255 1/3 17,7

Entrate complessive 767 730 2/3 100

b) esempi di esenzione

Esenzione propter paupertatem

ROSSANO* S. Adriano 1402

S. Maria del Patir

Mileto sottoposto al papa S.Bartolomeo di Trigona

S. Elia di Galatro

S.Giovanni di Laura 1346, 1362

Spanopetro, S.Pietro 1396

<http://www.medioevoitaliano.org/enzensberger.greci.pdf> (Rassegna Storica online, 1, 2000)

36

REGGIO

CALABRIA

S. Angelo di Tuccio

S. Filippo di Grito

S. Maria di Malochio

S. Maria di Terreti

S. Maria di Trapezzomata

S. Martino di Mesa

S. Nicola di Calamizzi

S. Pancrazio di Scilla 1351

S. Salvatore de Calomeno

1346,1350,1386,1396

S. Marco Argentano

(Malvito)

S. Sosti 1399

Nicastro S. Nicola di Flagiano 1404

S. Maria di Carrà

Gerace* S.Maria di Pugliano 1359

S. Nicodemo

S. Filippo di Gerace

* vescovo di rito greco ancora nel ’300.

<http://www.medioevoitaliano.org/enzensberger.greci.pdf> (Rassegna Storica online, 1, 2000)

37

c) Grafici

pagamenti provenienti dall’Italia

7%

23%

20%

50%

Si c i l i a It .mer i d.

I t . cent r al e It . s et t ent r .

reddito della tassa dei servitia

1%

2%

13%

12%

40%

14%

18%

I t al i a Fr anc i a Ger m ani a Is ol e br i t . peni s . pi r .

Sc andi nav i a Ci pr o Or i ent e Gr ec i a Bal c ani

<http://www.medioevoitaliano.org/enzensberger.greci.pdf> (Rassegna Storica online, 1, 2000)

38

1 1 ) L a s t r u t t u r a e c c l e s i a s t i c a d e l l a C a l a b r i a n e l

’ 2 0 0 e ’ 3 0 0

COSENZA Martirano

ROSSANO* S. Adriano

S. Maria del Patir

SANTA SEVERINA* Umbriatico

Cerenzia

Belcastro

Isola di Capo Rizzuto

Strongoli

S. Leone*

Mileto sottoposto al papa S.Bartolomeo di Trigona

S. Elia di Galatro

S.Giovanni di Laura

Spanopetro , S.Pietro

REGGIO CALABRIA S. Angelo di Tuccio

S. Filippo di Grito

S. Maria di Malochio

S. Maria di Terreti

S. Maria di Trapezzomata

S. Martino di Mesa

S. Nicola di Calamizzi

S. Pancrazio di Scilla

S. Salvatore de Calomeno

S. Marco Argentano S. Sosti

<http://www.medioevoitaliano.org/enzensberger.greci.pdf> (Rassegna Storica online, 1, 2000)

39

(Malvito)

Crotone*

Nicastro S. Nicola di Flagiano

S. Maria di Carrà

Catanzaro (Taverna)

Squillace S.Giovanni Teriste

Tropea

Oppido*

Gerace* S.Maria di Pugliano

S. Nicodemo

S. Filippo di Gerace

Bova* S. Maria di Teotocu

<http://www.medioevoitaliano.org/enzensberger.greci.pdf> (Rassegna Storica online, 1, 2000)

40

Bisignano immediato

* vescovo di rito greco ancora nel ’300.

1 2 ) R i f e r i m e n t i b i b l i o g r a f i c i

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I Greci nel Regno di Siciliaultima modifica: 2008-12-20T23:10:00+01:00da giusy1967
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