ANNO 376 d.C. – l’alba del Medioevo

 

L’ANNO 376
*** GRAZIANO IMPERATORE
*** IL RITIRO DI TEODOSIO
*** WULFILA il “prete goto ariano” TRACCIA I CONFINI

LA FATALE DECISIONE DI VALENTE
STA PER INIZIARE
L’ALBA DEL MEDIOEVO
( Testo di: Giovanni Aruta )

Finito tragicamente l’Imperatore Valentiniano, prematuramente a soli 44 anni, la successione al trono anche se era stata predisposta e indicata da molto tempo, presenta ora degli aspetti singolari. Il primo figlio era GRAZIANO di soli 16 anni, già Cesare associato co-imperatore fin da quando aveva 9 anni, mentre l’altro figlio era VALENTINIANO II, avuto nel secondo matrimonio con la vedova di MAGNENZIO Giustina, nel 371, che quindi aveva 5 anni.

I grossi problemi che stava vivendo l’impero in questo preciso momento non erano certamente risolvibili con questi due soggetti sul trono, tanto meno i due potevano affrontare quella che già si poteva definire uno stato d’emergenza sull’intero territorio imperiale.

I confini dell’Impero, mai erano stati così in fermento, e in ogni direzione contemporaneamente. A Nord i “germani”, e a Est gli Unni da varie provenienze.

Di questo giovane imperatore, GRAZIANO, di quindici anni, si sa pochissimo (salvo qualche panegirico cristiano), e quasi nulla di VALENTINIANO II, l’infante che il fratellastro “chiama” e associa al trono al suo fianco alla morte del rispettivo padre.

Giustina di certo teneva per suo figlio di sangue goto da parte di madre (lei vedova del goto Magnenzio). Mentre l’altro, il figliastro, era figlio di un bizantino, e aveva sposato una bizantina, figlia di Costanzo e nipote addirittura di Costantino.

Giustina forse fu lei (motivata) a organizzare l'”associazione” al trono dell’infante per non perdere i suoi diritti. Si rivolse così ai soldati (che erano in gran parte quasi tutti goti come lei e molti anziani comandanti erano stati ex compagni del suo ex leggendario marito) e quindi l’esercito alla nomina di Graziano (che era successore di diritto visto che il padre lo aveva già stabilito; ma forse non prevedeva di morire a soli 44 anni e non aveva predisposto nulla per il piccolo), acclamarono invece VALENTINIANO. Non avevano nulla i soldati contro GRAZIANO, anzi era da sei anni nei campi di battaglia la loro mascotte, gli volevano bene, lo ammiravano e seguitarono ad ammirarlo anche dopo. Ma il richiamo del sangue era un’altra cosa.

GRAZIANO per non perdere la stima dovette forse adeguarsi alla strategia della matrigna. Ma da quel poco che sappiamo, Graziano era anche, nonostante cresciuto sui campi di battaglia, di carattere mite, non un esaltato e con sete di potere.

Nell’assumere la carica di imperatore, sappiamo che era un cristiano, completamente ortodosso. Quando lo incoronarono rifiutò perfino di indossare la veste e di assumere il titolo di pontifex maximus. Indossò vestiti semplici, come un cittadino qualsiasi.

Quel poco che sappiamo è la sua popolarità che conquistò nella sua breve vita (morirà a 24 anni, nel 383) tanto nei pagani come nei cristiani. Era cortese, affascinante e alcune sue imprese militari, nonostante la giovane età, nell’aiutare prima VALENTE poi TEODOSIO con tanta abnegazione e lealtà, aumentò ancora di più questa popolarità. Lui era del resto un soldato fin dall’infanzia, e in quanto a popolarità le sue gesta nelle arene contro le fiere o la partecipazione ai giochi, gli attirò la simpatia della plebe di ogni religione.

GRAZIANO é passato alla storia – scritta dai cristiani – per essersi schierato nel 382 (ma fu sollecitato) a favore, quando il clero a Roma impose, come aveva fatto Costanzo nel 358, di rimuovere l’Altare e la statua della Vittoria (abbiamo già letto in precedenza cosa significava questo monumento per i romani: era tutto! Passato, presente e il simbolo della civiltà romana nel mondo intero.

Una delegazione di irritati cittadini pagani aristocratici, guidata da SIMMACO (influente uomo politico romano – celebre è la sua orazione in difesa della rimozione di questo monumento) si recò da GRAZIANO per non far rimuovere dall’aula del senato l’altare e la famosa statua.

L’imperatore in anticipo fu affrontato da DAMASO vescovo (Papa) di Roma e da AMBROGIO che affermarono “di rappresentare una grande maggioranza del Senato e che quindi non doveva ricevere né ordini né ascoltare quella che -fuori dal Senato anche se era una maggioranza- avanzava stupide pretese legate al gretto paganesimo plebeo, con una delegazione guidata da altrettanto aristocratici pagani ignoranti”.

GRAZIANO, lui ancora ragazzino, fu convinto a non ricevere neppure la delegazione. Fu in seguito per questo atteggiamento ricordato e celebrato come uno zelante cristiano. Purtroppo per i pagani, questo comportamento aveva permesso implicitamente al clero di dare ulteriori disposizioni per la distruzione di molti templi e altari pagani.

DAMASO, infatti, approfittò immediatamente della situazione favorevole e (con questo avallo imperiale) impose subito a tutte le diocesi dell’impero l’autorità dottrinale del Vescovo (Papa) di Roma, inteso come naturale successore dell’apostolo Pietro.

Non dimentichiamo che molti templi pagani, beneficiavano di forti rendite annue e che i sacerdoti dei vari riti (come oggi in Giappone -13 caste sacerdotali) ricevevano un congruo stipendio dallo Stato, oltre a possedere grandi proprietà terriere frutto di lasciti o donazioni di facoltosi aderenti alle varie credenze di ogni genere.

Con la loro esautorazione cadevano anche questi privilegi, gli oneri erano dirottati tutti alle diocesi cristiane, le proprietà finirono tutte confiscate e le varie basiliche trasformate e utilizzate per i nuovi riti cristiani.

La personalità di GRAZIANO così malleabile come in questa circostanza (aveva del resto 18 anni) la ritroviamo anche negli affari di Stato, che lasciò in mano ad altri proprio nel momento più difficile che stava attraversando l’impero. La sua passione di giovane non ancora ventenne, erano i giochi nelle arene, lo sport, le attività agonistiche. Inoltre, nonostante le sue origini bizantine, aveva una particolare predilezione per i germani. Lui del resto era vissuto fin da piccolo sul cavallo di suo padre nelle campagne militari in Gallia e nei limes danubiani, tutta la sua adolescenza l’aveva trascorsa in mezzo a soldati imponenti, di grande prestanza fisica, quali erano i germani affrancati nelle file romane. Quelli di Roma gli apparvero dei ridicoli nani, quasi da disprezzare.

(ricordiamoci che la media dell’altezza non era superiore a 1,60 in Italia, di cui la metà di molto inferiore, mentre nei germani la media era di circa 1,80 di cui la metà di molto superiore)

Un attaccamento viscerale quello di Graziano verso i germani che gli procurò tante inimicizie di altri soldati; messi da parte, quasi umiliati, dove oltre che fra di loro, nacquero sentimenti di ostilità nei confronti di alcuni generali; fin quando uno di questi, CLEMENTE MASSIMO, uno spagnolo, iniziò a coagulare queste gelosie e riuscì ad organizzare un esercito contro l’imperatore.

Nel 383 GRAZIANO, come vedremo, pagherà con la morte questa sue simpatie, e quindi imparzialità anche se in buona fede.

Fra i tanti clamorosi errori che causarono grossi danni, uno in particolare: sedicenne, appena salito sul trono, ascoltò una delegazione venuta dall’Africa dove era in atto da un paio d’anni la famosa “pulizia” – iniziata da Teodosio padre – sulla corruzione dilagante, ordinatagli da Valentiniano, padre di Graziano.

Durante questa opera moralizzatrice portata avanti con una severità cruenta, era scattata una congiura per liberarsi dall’implacabile giustiziere censore che stava mandando al patibolo tutti i corrotti, oppure tagliava la lingua ai complici che non parlavano (vedi i particolari nel 372).

La congiura riuscì con vari stratagemmi ad accusare di corruzione nientemeno proprio lui, il giustiziere Teodosio padre. GRAZIANO sedicenne, senza nemmeno conoscere le accuse, con molta leggerezza firmò la condanna a morte del grande generale, padre di TEODOSIO il Grande, quasi ignorando la immensa stima che aveva il suo defunto padre Valentiniano, che considerava Teodosio il suo migliore generale e l’incorruttibile.

Suo figlio, il valido giovane generale TEODOSIO che abbiamo già conosciuto contro i Sarmati e i Quadi, fu preso da un profondo scoramento. Anche lui come Graziano, tutta la sua adolescenza l’aveva passata sul cavallo di suo padre nelle grandi imprese, con lui aveva condiviso disagi e trionfi. Ne conosceva il valore, la sua rettitudine, l’amore per l’impero e la fedeltà al suo imperatore Valentiniano; per lui Teodosio padre non si era mai risparmiato, correva in suo soccorso come un lampo, con marce forzate incredibili.

Che il figlio di Valentiniano, potesse senza approfondire e con tanta leggerezza condannare a morte suo padre con un’accusa così infamante, a Teodosio questo apparve come una grande ingiustizia, una ingratitudine enorme, un giudizio troppo avventato, un disagio interiore che non prometteva nulla di buono.

Suo padre era conosciuto ovunque. Non c’era romano che non avesse almeno partecipato con lui a una campagna militare: in Italia, in Gallia, in Spagna, in Britannia, in Illiria, in Africa e in Oriente.

Per Teodosio figlio, dopo questa fine così ingloriosa del padre, comandare degli uomini non sarebbe stato facile, ma solo umiliante. Con quale spirito poteva d’ora in avanti parlare di onestà e di doveri ai suoi soldati, quando alle sua spalle c’era quell’infamante sospetto?

TEODOSIO preferì ritirarsi e andare a vivere da privato cittadino in Spagna, a Cauca Segovia dov’era nato. Ci teneva anche alla pelle, perché non era da escludere che le infamie potessero cadere anche sulla sua persona; qualche maligno consigliere poteva convincere GRAZIANO che bisognava se non punire almeno allontanare dall’esercito il figlio di un uomo che l’esercito l’aveva disonorato. E se le accuse, com’era accaduto nel complotto della forte lobby dei corrotti, arrivavano a un imperatore così irresponsabile e con la mano troppo facile nel firmare le condanne e a far salire sul patibolo i suoi migliori uomini, era meglio sparire, lasciare il campo libero e godersi la vita a Segovia. Di esercito non ne voleva più sapere.

(Ma un destino lo attende! Modificherà il corso della Storia più di Costantino, e la sua opera sarà la causa di tanti eventi futuri che nell’anno 2000 non sono ancora terminati: quella famosa linea balcanica tracciata contemporaneamente dalle scelte religiose e dalla politica imperiale di Teodosio.

Questa Europa anno 366 andremo a visitarla il prossimo anno a volo d’uccello nella sua parte nord, oltre le Alpi dove da 35 anni si aggira in lungo e in largo un goto particolare, un monaco straordinario. Non era un imperatore, non era un re, non era un condottiero, ma ha inciso più lui il corso degli eventi sul territorio germanico che tutti gli imperatori ed eserciti romani nell’arco di oltre quattro secoli.

E’ WULFILA – “IL “LUPETTO” ARIANO

Dobbiamo a lui molte cose, la lingua germanica scritta (e indirettamente poi ispiratore di quella inglese); il fallimento dell’introduzione della latinità nei territori nord europei; ma soprattutto la spaccatura religiosa fra oriente e occidente, inizia con lui. Lui figlio di uno schiavo della Cappadocia fattosi prete ariano. Una religione quella ariana che, dopo l’avvento di TEODOSIO e i successivi imperatori, come lui cesaro-papisti, rimase latente per più di mille anni nella coscienza dei goti, degli angli, un po’ meno nei Franchi, poi riesplose (anche se in un altra sembianza) nella riforma ad opera di un figlio di un minatore fattosi prete: LUTERO.

Il suo nome é ULFILA o WULFILA, “Il Lupetto”, il suo fervore ariano fu alla base della sua attività, che per via diretta e indiretta esercitò una grandissima influenza su quasi tutte le popolazioni germaniche.

Influenza anche politica. Proprio quest’anno, sotto la spinta degli Unni, i Visigoti si dividono in due tronconi. Quelli guidati da FRITIGERNO si stanziano definitivamente nella Mesia-Tracia (all’incirca l’odierna Iugoslavia), mentre l’altra guidata da ATANARICO si stanzia a Nord del Danubio. Regista di questa operazione di stampo geopolitico è proprio WULFILA; è lui che traccia i nuovi confini con l’imperatore VALENTE. E fra breve morto lui, con i goti padroni del territorio, quei confini rimarranno.

Teodosio in seguito, nella sua divisione dell’impero con i due figli, questa linea sull’Europa la ricalca pesantemente e la fa diventare politicamente indelebile. Gli altri imperatori che seguirono nei vari secoli, questo confine (nel frattempo diventati i due territori etnicamente, religiosamente e politicamente diversi) non lo modificheranno più, nonostante le varie dominazioni più o meno lunghe, come quella dei turchi.

(Nell’anno che segue parleremo molto di questo leggendario prete ariano: di WULFILA)

LA FATALE DECISIONE DI VALENTE
STA PER INIZIARE
L’ALBA DEL MEDIOEVO
( Testo di: Giovanni Aruta )

Nella primavera di questo 376 alla corte di Valente, imperatore d’Oriente, giunse una ambasceria di tribù gote che chiedeva di potersi stabilire nel territorio romano. La loro richiesta traeva origine dal fatto che, al termine di una guerra feroce, i goti erano stati scacciati dai loro territori, da nuovi invasori selvaggi, gli Unni, che descrivevano come guerrieri terribili, nomadi tanto primitivi da vestirsi di sole pelli e da vivere sempre in groppa ai loro cavalli. Gli ambasciatori spiegarono che il loro popolo, i Goti Tervingi, aveva tentato di opporsi a questi invasori ma erano stati sconfitti in quanto era risultato impossibile opporsi alla loro veloce cavalleria.

Valente ed i funzionari imperiali conoscevano già in parte questi avvenimenti ma furono ugualmente colti alla sprovvista. Vi era da parte romana molta incertezza anche perchè i rapporti tra goti e romani non erano mai stati molti amichevoli. Ricordiamo che alcuni anni prima lo stesso Valente aveva condotto una campagna militare contro i goti che non aveva sortito effetti decisivi. Pertanto l’Imperatore era incerto sulla linea di condotta da adottare forse perchè la difficoltà a prendere decisioni rapide era connaturata alla sua personalità. Inoltre dalla lontana Antiochia, dove aveva stabilito in quel momento la sua residenza, era difficile valutare l’esatta dimensione del problema. Possiamo aggiungere che molto probabilmente risentiva del fatto che alla guida dell’Impero d’Occidente non vi fosse più il suo fratello maggiore Valentiniano (morto nell’inverno precedente), al quale era rimasto sempre fedele riconoscendone la sua indiscussa autorità ed al quale doveva la nomina ad Imperatore d’Oriente.

Le condizioni in cui versavano i goti erano davvero gravi, ma vi era incertezza circa il loro numero ed il grado di pericolo che essi avrebbero rappresentato qualora si fosse deciso di respingerli. In passato era stato accordato a tribù barbare il permesso di insediarsi all’interno dell’impero, ma mai il fenomeno aveva raggiunto dimensioni tali da accogliere all’interno una popolazione così numerosa quali erano i Visigoti. Inoltre qualora si fosse giunti alla decisione di respingere questa richiesta non vi era certezza che le truppe dislocate sul confine danubiano fossero in grado di assicurare un argine sicuro contro l’eventuale sconfinamento di queste masse disperate. Ad aggravare la situazione contribuì il fatto che giunse notizia che un’altra popolazione, i Greutungi (in seguito denominati Ostrogoti), si erano accampati sulla riva nord del Danubio.

Avrebbero chiesto esilio anche loro? Valente sapeva che, in caso di emergenza, non potevano essere distolte truppe dalla frontiera orientale dove si profilava un nuovo conflitto contro la Persia. Pertanto l’imperatore prese una decisione che doveva rivelarsi fatale per la sua persona e per l’Impero: accolse la richiesta dei visigoti di stabilirsi in Tracia. L’Imperatore però ritenne di non doversi muovere da Antiochia, dove si era trasferito per seguire la situazione delle frontiera orientale, e pertanto a gestire l’emergenza furono delegati i funzionari imperiali del luogo. Non appena la grande massa di barbari ebbe attraversato il Danubio apparve subito chiaro che il numero dei profughi era superiore ad ogni previsione. I termini dell’accordo prevedevano che i goti, una volta giunti in territorio romano, fossero disarmati e poi dispersi nelle province imperiali, ma, a causa della grande confusione che si era creata, ciò non fu fatto se non molto parzialmente.

Ben presto questa improvvisa convivenza fra goti e romani divenne fonte di liti e scaramucce. E’ molto probabile che ciò fosse dovuto all’ avidità dei funzionari imperiali i quali vedevano la grande massa di goti come una fonte di arricchimento personale. Accadde così che il governatore della bassa Mesia, Lupicino, invitasse i capi dei goti, Alavivo e Fritigerno, ad un banchetto a Marcianopoli, capitale della predetta Provincia. Non è chiaro se il funzionario romano avesse deliberatamente invitato i capi dei Goti per dividerli dalla massa dei loro connazionali e poi trucidarli a tradimento, ma sta di fatto che durante il banchetto scoppiarono dei disordini tra le truppe romane ed i goti affamati ai quali veniva impedito di accedere alla città ed ai suoi mercati. I goti si ribellarono e vi furono dei tumulti e Fritigerno, venutolo a sapere, con grande presenza di spirito calmò il comandante romano spiegandogli che si trattava di disordini di scarsa rilevanza e che la situazione poteva aggravarsi qualora la sua gente non avesse visto tornare il suo capo illeso. Aggiunse inoltre che la sua presenza avrebbe calmato gli animi facendo così tornare la tranquillità fra i due popoli.

Il debole e colpevole Lupicino, che aveva provocato i disordini, si lasciò convincere permettendo a Fritigerno di tornare dalla sua gente. Così iniziò la rivolta favorita dal fatto che i goti avevano con sè le armi che i romani, per sciatteria o a causa della confusione creatasi, avevano omesso di sottrarre ai goti. Il ritorno di Fritigerno, e la sua decisione di sollevarsi contro i Romani, furono accolti da selvagge e gioiose acclamazioni dai goti che erano stanchi di subire le angherie dei corrotti funzionari imperiali. Intanto Lupicino aveva compreso il grave errore commesso e pertanto radunò tutte le truppe disponibili per fronteggiare quell’improvvisa, ed inaspettata, emergenza. Lo scontro avvenne vicino Marcianopoli e l’abilità di Fritigerno e la furia selvaggia dei Goti ebbero la meglio sull’organizzazione e la disciplina delle truppe romane. Lupicino, visto il suo schieramento travolto dalla carica tumultuosa ma irresistibile dei goti, si dette alla fuga protetto dal sacrificio dei soldati e dei tribuni più valorosi e scomparve dalla scena.

I suoi crimini furono pagati dalle popolazioni della Tracia e della Mesia, regioni che vennero devastate dalla furia dei Goti. A questi ultimi si unirono schiavi barbari, minatori, contadini ribelli e così ben presto Valente si trovò ad affrontare una formidabile emergenza in territorio romano provocata per da una sua decisione avventata. Intanto anche i Greutungi (Ostrogoti), approfittando della confusione creatasi e del fatto che i posti di sorveglianza romani sul Danubio erano stati sguarniti dei loro effettivi richiamati per cercare di arginare i visigoti, attraversarono il Danubio e penetrarono in territorio romano. L’imprudenza di Valente aveva dunque introdotto nel territorio imperiale una grande massa di nemici di fronte ai quali l’Impero non sembrava avere le forze sufficienti per opporsi efficacemente.
(By: Giovanni Aruta )

BIBLIOGRAFIA:
1) Hermann Schreiber: “I goti” – Garzanti – Milano 1981;
2) Edward Gibbon: “Declino e caduta dell’Impero Romano” – Oscar Storia Mondadori – Milano 1990;
3) Gian Roberto Parisini: “L’alba del Medioevo – Adrianopoli” in Rivista Storica – febbraio 1996;
4) Averil Cameron: “Il tardo Impero romano” – Il Mulino – Bologna 1995;
5) Stephen Williams – Gerard Friell – “Teodosio – L’ultima sfida” E.C.I.G. – Genova – 1999

 

Articolo tratto da: 

http://cronologia.leonardo.it/storia/anno376.htm

 

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ANNO 376 d.C. – l’alba del Medioevoultima modifica: 2008-12-23T12:08:32+01:00da giusy1967
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